giovedì 23 febbraio 2017

23 febbraio 2007

Il 23 febbraio dell'anno domini 2007 accadde qualcosa di terribile per me. Forse nemmeno tanto, oggettivamente e visto col senno del poi. Però in quel momento fu una coltellata in pieno cuore. Stetti male e ciononostante riuscii ad organizzarmi per la sopravvivenza immediata. Chiamai a Roma i miei amici Rosa e Leo e mi invitai ad un week end da loro. Un porto sicuro nella tempesta di quelle ore. Credo di aver parlato e straparlato, non si faceva mai notte, so bene cosa accade in queste circostanze. Ma importa soprattutto tirare fuori il male, come quando si deve espellere dal sangue il veleno del serpente prima che immobilizzi definitivamente. Loro erano, e sono, persone con un background unico e capaci davvero di tanto. Una delle tante grazie della mia vita. Persone giuste al momento giusto: ci si vede di rado, ci si sente poco, eppure siamo in sintonia perfetta e costante.
La domenica sera, dopo averli ammorbati per bene - in fondo qualcuna diceva (bene) che i pesi condivisi pesano meno - riuscii a risalire in macchina a fare il viaggio di rientro a casa. Un viaggio drammatico, ne ho un ricordo fortunatamente abbastanza vago.
Il lunedì al lavoro da me si festeggiava un pensionamento, a pranzo. Ricordo invece bene, qui, che ebbi un momento di profondissimo e assoluto vuoto, un senso di morte profonda sentendomi assolutamente estraneo alla confusione circostante, lontano dalla realtà, per diversi minuti credo di non aver avuto cognizione di chi ero e dove e perché. Non amnesia, questa l'ho conosciuta di recente. Era altro, indefinibile. Poi a casa ebbi una telefonata col mio angelo custode primario, Attilio. Ricordo solo alcune sue parole: "Paolì, fai qualcosa che ci stai rimettendo la testa". Sì, stavo un pezzo avanti, davvero. Fu un attimo: come sempre le cose importanti, le decisioni vitali balenano e si affermano all'istante, magari dopo tanto tentennare.
Da tempo accarezzavo l'idea, anzi il sogno, di partire per Santiago de Compostela. Devastato dentro, erano oramai diciotto mesi che dormivo una media di tre ore e mezzo a notte. Forse decisi nella notte, davvero in brevissimo.

Dal momento della decisione accadde il miracolo: cominciai a lavorare al progetto, solo questo nella testa, segretamente. Il resto pareva svanito: non lo era, però stavo concentrato su altro, e fu un bene. Cominciare a studiare orari dei voli, date possibili, tipi di zaino, verificare scarponi, racchette da trekking, torcia, sacco a pelo, cosa portare, cosa evitare, come abbigliarsi, non si finiva mai. Meno male che già esisteva il web: il know-how era alla portata di click. Caricai un vecchio zaino di volumi di enciclopedia per ragazzi, e andai a testare il mio cammino. Andavo in palestra regolarmente, fu tutto relativamente semplice. Poi cominciai a fare acquisti, serviva di tutto, magliette tecniche, giacca a vento, mantella, scarponi in Goretex. Poteva esserci neve (e ce ne fu abbondante), di sicuro pioggia (e fu tantissima). Passai quasi un mese a preparare, e fu l'inizio della salvezza. Presi i biglietti aerei e mi sentii libero.
Ero solo, come sempre e più di sempre, ma il cuore traboccava. (segue...)

Queste cose appena narrate credo di non averle mai descritte ad alcuno, così nel dettaglio. Ma è tempo oramai di dire.
Sono or ora andato a cercare il mio quaderno di viaggio. Non lo toccavo da anni, ma in qualche parte del cervello avevo ben memorizzato in quale angolo delle librerie risiedeva. A colpo sicuro l'ho trovato, alla faccia dei miei neuroni che a volte paiono non parlarsi tra di loro.
Mi sa che da questo quaderno scaturiranno altri post. In fondo, rileggere e con voi condividere dopo dieci anni mi pare un'avventura entusiasmante. Voglio ovviamente condividere la cosa più importante, ovvero la mia esperienza di Dio di quella fase della vita, che pareva l'apoteosi ma non lo era... il meglio doveva e deve ancora venire.
Di questo ringrazio qui, ancora e sempre, la mia sposa. 

(Foto mia, Barcelona 2014)

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