lunedì 26 ottobre 2015

Le noci

Quando stavo per acquistare questa casa, le tante perplessità vennero alfine risolte dalla presenza di due alberi di noce. Belli, imponenti, ombrosi. Proprio a ridosso della casa. E così son divenuto un micro-coltivatore di noci. Quando va molto male, come lo scorso anno, quando meglio come quest’anno.
E questo raccogliere noci, oramai da qualche settimana - dato che vengono giù quando si ritengono mature, ciascuna coi suoi tempi – proprio di recente mi ha indotto una riflessione, seppur davvero banale: accade che passo a vedere sul terreno, raccolgo quel che trovo, torno poi indietro e vedo altre noci che già prima evidentemente stavano lì. Poi ripasso, e ne trovo altre ancora.
Buffo assai, ma spiega bene la vita: a volte è solo questione di punti di vista, di momenti, e pure di luce: basta spostarsi, muoversi, e si vedono cose che ti stavano comunque sotto il naso.

Di recente c’è stato l’anniversario dei dieci anni: dieci anni dalla svolta epocale del mio esistere. E nulla allora avrei scommesso sulla mia sopravvivenza. Perché accadono cose che nella vita non dovrebbero accadere: non le immagini proprio, non le metti in conto. Forse nemmeno sono giuste. E certo sai di essere inadeguato, proprio non capace.
Se guardo la mia vita passata devo per forza constatare che son cresciuto più in questi dieci anni drammatici e soli che nei cinquanta precedenti. Ho dovuto smuovermi, risolvermi dentro, aggiornarmi di continuo, adeguarmi a quanto la storia - ovvero le scelte della mia sposa - prepotentemente mi offriva come chance.
Mica facile, eh! Però come non vedere che molto spesso interviene “altro” da te, situazioni, cose ben lontane che però aiutano e risolvono? Perché vivere soli, specie quando non ci sei proprio portato, e col dolore dell’abbandono, non è come passeggiare in un parco in fiore, in una dolce mattinata primaverile.
Ad un certo punto mi son accorto che facevo “di ogni ostacolo una pedana di lancio”. Meccanismo che ben conoscevo da tempo immemore. Ma che ho dovuto perdere per poi ritrovare moltiplicato. 

Debbo confessare che trovo irritante leggere qui e là: “matrimonio fallito”. Qualcuno ha provato a dirlo del mio, ed ho dovuto farmi sentire. Fallito? Questo è matrimonio pieno. Forse un poco “diverso”. In questo sì, che i tempi son cambiati. Nel pensare al matrimonio come ai tempi prima del ’68: che rimane in piedi comunque, ed alternative non ve ne sono. Oggi pare tutto il contrario, ma il matrimonio cristiano non termina, e non è fallito, mai.
Cambia forma, è liquido. Ma vivente, si adatta, si conforma. Così vivo io, così viviamo in tanti, anche se i media ci ignorano. Ma non servono riflettori puntati: non si vive così per gli uomini o per la ribalta.
Sono comunque storie di dolore (e chi vuol sentirne?) pure se - parzialmente - risolto.
La scissione persiste, ché se è vero che i coniugi cristiani divengono un sol corpo, come altrimenti vivere la spaccatura del corpo coniugale, quasi direi come il Sabato santo di Maria nell’attesa della Resurrezione del Figlio?
Il separato: lui risorto "già, ma non ancora" insieme, nella “sola carne” ricomposta…

Un tempo si diceva per sempre, e in qualche modo doveva esserlo.
Un tempo si prometteva l’amore, e in qualche modo ci si costringeva a viverlo (ah… e chi parla più di sacrificio?).
Un tempo ci si impegnava per sempre, oggi è finché non ti distrai.
Un tempo l’abbandono del tetto coniugale era reato, oggi è acqua fresca.
Un tempo si diceva adulterio ed oggi “rifatti una vita”.
Un tempo l’adulterio era punito, oggi viene incoraggiato.
Un tempo il rapporto uomo - donna era uno scrigno chiuso, geloso di sé, oggi aperto ai venti di ogni dove.

Si chatta, si whatsappa, si facebookka, e tutto porta sempre più lontani dalla propria vita. Ho visto cose che sarebbero ridicole (da ridere) se non fossero drammatiche. Ma tutto funziona, purché porti lontani dal proprio reale, dal presente in cui si sta male.
Invece di ricostruire la propria storia ogni momento, ricominciare daccapo che è il solo modo di vivere sano, cristiano e non, si azzera tutto in vista di nuova felicità.
Che poi magari, passata la fase iniziale, riporta nella tristezza e fa ricominciare daccapo.
Come il vento del deserto che muta continuamente l’orizzonte, la vista, il presente. Nulla dura più.
E noi invece qui, sparuta, isolata, sbeffeggiata schiera: a dire che l’amore (l’Amore) per quanto liquido, è possibile, più che mai.
Ah, dimenticavo, pure gli umani son come le noci: ciascuno ha i suoi tempi di maturazione.

(foto mia, Finisterre, Spagna 2007)

sabato 17 ottobre 2015

Una corrispondenza attuale che viene da lontano...

Correva l’A.D. 2009: perciò solo sei anni or sono, anche se mi pare un secolo. Avevo casa sottosopra, si stava rifacendo il tetto, quindi era tutto concentrato al primo piano, in un caos notevole.
Una sera lessi sul sito del Corriere della Sera questo articolo di Isabella Bossi Fedrigotti > (click qui x vedere articolo)
Beh, dal mio eremo scombussolato nonché osservatorio particolare sulla questione, ci stava di che intervenire. Cominciai a scrivere, limare, ritoccare. Poi andai a dormire, era tardi. Al mattino molto presto chiamai un amico giornalista, mi serviva un parere. Lo svegliai, e gli lessi quanto avevo scritto. Lui rise e mi disse: “manda, manda!” Ritoccai ancora alcune parti, e inviai alla giornalista.
Questo il testo della mia email (21 maggio 2009):

Gentile Signora Isabella,
leggo il suo generoso intervento sul Corriere, e mi permetto di intervenire, sentendomi chiamato in causa: perché sono uno dei, presumo pochi, folli sulla terra che, essendo stato abbandonato dalla propria sposa, vive una situazione di matrimonio bianco.
Sono semplicemente un uomo che cerca di vivere il Vangelo, soffrendo nella propria carne altrui scelte, ma era già tutto compreso nel pacchetto matrimonio: nella buona e nella cattiva sorte, rimango a te fedele… e purtroppo la cattiva sorte si presume sempre tocchi ad altri.
Lei auspica che la religione sia per l'uomo, finalmente, e non l'uomo per la religione.
È senz’altro da condividere, al primo impatto… ma ho l'impressione che sia posto male il quesito.
Non credo che la religione sia per l'uomo e manco che l'uomo sia per la religione.
Da uomo della strada penso che la religione sia incontrare il Dio vivente, e vivere in Lui. Per cui: molto più che per l’uomo!
Forse da tante parti è vero che si condanna per un divorzio, persino subìto.
Questa non è certo la Chiesa, ma solo esacerbazioni di uomini di Chiesa. Che magari necessiterebbero di adeguata formazione sulla realtà della famiglia, e del suo ambito.
Nel matrimonio guai a parlare di condanne, di giudizi. Nessuno può sapere, né giudicare. Manco Dio condanna, e chi si permette tanto? Ma questa gente ha mai sentito dire della Samaritana? E del Figliol prodigo?
Però è vero che si fanno delle scelte, e di queste poi si vivono le conseguenze.
Le dico serenamente che se un giorno dovesse cambiare qualcosa nella mia vita, ovvero abbandonare nel mio cuore la mia sposa, sostituendola con altra, non starei certo a chiedere alla Chiesa di giustificarmi o accogliermi. Avendo ben chiaro che la mia scelta mi pone automaticamente in altra realtà. Ma come potrei poi avercela con la Chiesa, che non mi consente l’Eucarestia, unico sacramento da cui sarei escluso? Al limite potrei solo avercela con me stesso.
E guardi che vivere soli non è facile, lo dico con cognizione di causa, dato che dormo solo oramai da oltre duemila notti.
Ho quindi scelto di vivere nel mio matrimonio, ora più che mai. Ma vale la pena questo sacrificio? La risposta è una sola: se Dio esiste, sì, se invece non esiste è pura idiozia, sto sprecando la mia esistenza. Ma se Dio non esiste allora non serve nemmeno ragionarci sopra, non parliamo manco di Chiesa.
D'altronde il creare nuove relazioni, seppur conseguenza e non scelta, avendo la sola propria coscienza come termine di paragone, magari in perfetta buona fede, non può indurre la Chiesa a fare da notaio di un mondo che è cambiato.
Specie oggi, in cui tutto pare soggettivo, meno male che sopravvive qualcuno che si ostina ad affermare che la Verità esiste. E la Chiesa è ben altro che una congrega di pie persone, come vorrebbe far intendere qualche buon anziano sacerdote.
Per fare un esempio, esagerato ma chiarificante: ipotizziamo che un giorno buona parte della società viva di schiavismo, di razzismo, o altro che noi oggi tutti condanniamo: cosa dovrebbe fare la Chiesa: allinearsi e benedire, dato che è cambiato il comune “sentire”?
Il Male esiste, lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, basta scorrere le notizie.
Ma se esiste il Male, esiste dunque pure il Bene…
In questi tempi mi sono posto anche domande più grandi di me, come quelle dei bambini, a cui rispondeva il catechismo di una volta in maniera molto nitida: a cosa serve la vita, chi è Dio, perché si nasce, perché esiste il dolore, cosa è amore.
E le assicuro che le risposte in questo oceano di dolorosa silente solitudine non sono state facili, eppure non mi lasciano dubbio alcuno.
Questo vivere non è forse seducente, ma è quanto ha deciso la mia sposa per la nostra famiglia.
Paolo Ricci (di certo: non un “fedele tradizionalista”)
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Naturalmente la mia voce dissonante (voce che grida “dal” deserto?) non ebbe diritto di pubblicazione. Anzi, a pressare ulteriormente, venne pubblicato un articolo in cui Gerry Scotti narrava le sue vicende che a me parvero non entrarci affatto.

La signora Isabella mi inviò comunque una cortese mail di risposta:
Bella la sua lettera, però il mio discorso non era per i santi uomini, bensì per tutti gli altri poveracci che soli, invece, non ce la fanno a stare. 
Un cordiale saluto, Isabella Bossi Fedrigotti 

Iniziai a scrivere una seconda lettera. Mi dava fastidio quel “santi uomini” che non mi riguarda. Io sto dall’altra parte, sono uno dei poveracci. E io ce la faccio a stare solo? Se qualcosa mi riesce non dipende da me, assolutamente. Io sono capace solo di danni, oramai lo so bene.
Ero un pezzo avanti con la seconda lettera, ma lasciai correre. Rischiavo di entrare in un vortice di polemica che comunque non avrebbe prodotto nulla di positivo.

Sto risistemando la mia posta degli anni passati - sono migliaia di mail, e ci vuole tempo.
E proprio ieri, casualmente, mi è finita sotto gli occhi questa corrispondenza. Sono andato a rileggere e quel “casualmente” mi si è illuminato, spiegato. Toh, la questione è apertissima, è l’argomento del giorno!
Stavo in anticipo sui tempi? Non so, di certo in questo film in cui vivo sono stato posto dalle scelte della mia sposa, che ben altro io avrei desiderato nella mia vita. Ed ho capito che devo vivere questa separazione come Amore di Dio, che solo questo è. E quindi fare la mia parte, che in questo contesto significa: dire quello che vivo e come vedo queste realtà. Per cui alla fine ecco questo blog, e questo mio interventismo che mai pare calare di tono.
Ma altro non posso. E non l’ho scelto io. Io solo cerco di essere coerente con la mia scelta di Dio, che è la cosa che più conta della mia esistenza.

(foto mia, monte Subasio 2008)

martedì 6 ottobre 2015

Coloro che arrivano all'abisso


Siamo all'autunno, l’estate è ancora una volta svanita. Chi ha riposato, chi no. Chi ha fatto ferie, chi ha strabordato, chi non aveva nemmeno i soldi per mangiare. Le giornate son già molto ridotte, la vita corre via, fugace. A brevissimo arriverà Natale, e poi comunque terminerà pure quest'altro inverno. E sempre più, la sensazione mia profonda è che solo in funzione dell’Eterno ha senso questo vivere.

A metà agosto, seppur in extremis, son riuscito a partecipare ad un convegno, qui in Umbria, della Fraternità Sposi per sempre: un bel gruppo di “svitati” che, come me e in virtù del sacramento in cui credono, vivono nel loro matrimonio pur senza la prevista reciprocità. Tutto nato dall’iniziativa di don Renzo Bonetti, che qui ringrazio pubblicamente per il suo forte credere nel sacramento del matrimonio.
Debbo dire che ho respirato un’aria molto sana, di cui avevo necessità in questo momento in cui parrebbe che grandi sconvolgimenti stiano per abbattersi su quanto ci era stato insegnato, e quindi credevamo, intorno al nostro matrimonio di credenti nel Vangelo.
Grazie a don Renzo, ma grazie anche a tutti i presenti: il clima generale è dipeso da ciascuno.

In questi giorni ho molti contatti con un amico che sta vivendo una fase drammatica della vita. Dopo la subìta separazione e la solitudine in una casa nuova e senza più prole vicina, sta rendendosi conto che la moglie fa tante cose. Ed il dolore bussa molto forte: inevitabile.
E allora?
In genere la separazione è voluta da uno dei due, parte attiva, che la impone alla parte inevitabilmente passiva, se non contraria. E non è indolore per nessuno, anche se chi lascia per lo più ha già pronto l’anestetico, anzi la “felicità”, che lo attende.
Ma chi è abbandonato certo si ritrova in mezzo ad una strada. E la soluzione, diffusa, semplicistica, fuorviante è sempre quella: rifatti una vita!
Ma se il coniuge ha una malattia grave, come potrebbe essere un "tumore dell’anima", cosa fai? Lo abbandoni? Contraccambi? Ti rifai una vita?

Ma qui si imposta male il problema, e la soluzione prospettata è tutto meno che soluzione.
Se credi, e non c'è obbligo, il tuo sì al coniuge è un sì all'Amore divino, è donare la tua esistenza a Dio nelle mani concrete di chi sposi, per sempre e comunque.
Se segui invece l’andazzo generale ti rifai una vita, magari ti accontenti di altro e può andare pure bene, ovvio. Ma a volte è un chiodo scaccia chiodo. Il taglio rimane, la ferita, il crack del disegno originario soprannaturale stanno lì, nulla cambia.
Certo, occorre proprio essere credenti, ma tanto, e disposti a rischiare la follia e pure lo scherno, per continuare a stare nel matrimonio.

Qualche tempo fa ho scoperto Martin Heidegger, filosofo contemporaneo. Ho studi tecnici e la filosofia mi è ostica. Però qualcosa capisco dal vivere, oramai.
Trovo drammaticamente attuale e vero:
“La notte del mondo distende le sue tenebre. Ormai l'epoca è caratterizzata dall'assenza di Dio, dalla “mancanza di Dio". (...) Si è spento lo splendore di Dio nella storia universale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. È già diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza. (...) L'epoca a cui manca il fondamento pende nell'abisso. Posto che, in genere, a questa epoca sia ancora riservata una svolta, questa potrà aver luogo solo se il mondo si capovolge da capo a fondo, cioè se si capovolge il partire dall’abisso. Nell'epoca della notte del mondo l’abisso deve esser riconosciuto e subìto fino in fondo. 
Ma perché ciò abbia luogo occorre che vi siano coloro che arrivano all’abisso.” 
(Sentieri interrotti, ed. it., Firenze 1982, pp. 247-248)

La mia amica Alberta di recente mi ha condiviso un’affermazione di Cesare Pavese: “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola”. Preciso, grazie!

Condivido in pieno anche Heidegger. E' qui la soluzione, ne sono testimone di persona.
Il dolore va affrontato, attraversato: si deve giungere sino in fondo, oltre le consuetudini, oltre la giusta paura dell'ignoto e del buio.
Nella notte del mondo, arrivare all’abisso: coscienti, tenaci, a testa alta, magari nel sangue.
Ma con la certezza nel cuore di fare la cosa giusta, per quanto dolorosa, derisa, fuori moda, incompresa.

(foto mia, Verona, 2015)