domenica 11 maggio 2014

Sessanta e poi trentatré!

Nello scorso post ho fatto qualche accenno al mio tempo in terra.
Ed ora vengo a parlarne ancora… ebbene sì, forse si intuisce già dal titolo: siamo giunti ai sessanta anni.
Ai miei quaranta avevo preparato pure gli inviti, era una bella occasione per rivedere tanti amici: mi fu impossibile.
Ai cinquanta si festeggiò in famiglia con pranzo all’Isola Maggiore, al Lago Trasimeno. E nemmeno fu facile.
Ai sessanta avevo in animo di organizzare una bella festa. Tante idee, ma poi ho dovuto fare i conti col tempo, con l’ospedale, la convalescenza. Insomma, alla fine nulla in programma. Ma tutto senza ansie particolari, in fondo era un giorno come un altro, specie nel conto dell’eternità.
Invece il sabato sera mi son trovato dentro un “compleanno a sorpresa”, in una pizzeria in città. Mia figlia tornata appositamente dalla Spagna (!!!), mio fratello venuto dal nord con la famiglia. Bravissimi, mi son detto, una bella sorpresa, una bella festa!

Poi la domenica mi dicono: allora è bel tempo, si va a fare un po’ di turismo? Bene, cerco sulla guida del Touring qualcosa che ancora non conosciamo. Appuntamento alla Madonna del bagno (che sempre ritorna!).
Dai, spicciamoci che è tardi… Beh, arrivo lì e mi trovo, nascoste per bene dentro un salone già apparecchiato per il pranzo, una infinità di persone convenute per festeggiarmi! Alcuni da vicinissimo, altri da lontano: Friuli, Abruzzo, Roma, Castelli romani. E tanti altri hanno cominciato a telefonare, a scrivere (un grazie, ancora, a tutti, davvero!). Moltissimi assenti “giustificati” per impegni più grandi di me (e meno male!).
Qualcuno si aspettava una mia commozione che non c’è stata, immediata. Ridendo ho detto che le lacrime le ho esaurite, ma la verità è che in questi anni vivo praticamente dentro una commozione quasi perenne.

Una bella messa e poi un vero banchetto, organizzato alla grande in forme familiari con tantissime cose, porchetta, Recioto e una magnifica torta opera della mia consuocera. Solo poi saprò che tanti hanno contribuito, pure qualche insospettabile (un grazie immenso... e pure a mia nuora che dall'Estremo Oriente ha preparato il video della mia vita... e specie a mia figlia e al marito che, con bue bambini piccoli da gestire e me in casa loro per dieci giorni in convalescenza, son riusciti a tessere e tirare le fila del tutto senza farmi intuire nulla!!!)

A quel punto, a messa ho fatto una specie di omelia pure io. Laica, ma sul filo. Il cuore era la cosa che più sentivo. Il cuore mio, che palpitava forte - un principio di eternità (sarà così il paradiso? che convengono tutti da ogni dove ogni giorno a festeggiarti, e tu pure fai per tutti, uguale?) - ma pure quello che aveva portato lì tutte quelle persone da lontano, qualcuno anche nel tempo. Il cuore che salva (salva l’altro ma specie te che lo usi!), il cuore che ama “oltre”, come il cuore di Dio che non è ragioniere.

Non è ragioniere come noi che, specie quando facendo un banale due più due, diciamo che un matrimonio termina perché uno dei due si distrae, oppure ha una malattia. Ma non erano queste le promesse fatte un giorno: “prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”… Era già tutto previsto: perché quindi non rispettare gli impegni?

Sessanta gli anni di vita, trentatré gli anni di matrimonio.
Qui invece una giornata normalissima, anche se questo numero mi evoca di continuo realtà particolari. Nessuno si è accorto (sembra) della ricorrenza. O forse non si riesce a dire: "buon anniversario" per un matrimonio che vive una fase dolorosa?
Già a letto, faccio un conto della vita, come spesso accade. Riaccendo la luce, scrivo poche righe sul cellulare:

   E nel silenzio 
   Del cielo 
         E nel silenzio 
         Della terra 
               Ancora il nostro 
               Sì 

Le condivido con qualcuno... Mi risponde un amico che vive realtà assolutamente diverse dalle mie: “Carissimo anche per me tra qualche giorno (il 18) sono 33! Concordo pienamente con le tue parole!”. 
Realtà diverse: ma è solo apparenza, la forma è diversa. La sostanze è sempre quella di Dio, della creatura incamminata sulla Via.

(foto mia, Ciociaria 1978)

mercoledì 7 maggio 2014

Capisco, ma non mi adeguo

Tempo fa scrivevo di sentirmi sotto attacco concentrico. Una sensazione interiore che ritorna. Da più parti, più voci, autorevoli, blande, silenti, possenti. Dentro, un turbinio. Emozioni concentriche che si moltiplicano.
Perché questa follia del rimanere dentro il matrimonio so bene che stona, e che potrei fare "altro". Come fan tutti, o quasi.
Ho coscienza che potrebbe pure essere vero che sto sbagliando tutto, ancora. E poi alla mia età ho imparato che le certezze possono essere un grande male, quindi è bene dare il benvenuto a qualche sano interrogativo.
Avere il cuore tronfio, baldanzoso, è dei giovani, di chi ancora deve vivere e sbattere la testa, quasi direi. Onestamente, oggi ho timore di chi sfoggia certezze, chi sa tutto, chi divide sempre in bianco e nero. Con gli anni, amaramente anche, impari che la vita è ben altro. 

Debbo dire che tanta amarezza non me la sento. Un tempo sì, era un arrovellarsi senza pace, un girare attorno ai tanti errori, impensabili in gioventù. Parti con la vita, almeno per quanto ricordi, che sei pieno di speranze, di luci, di certezze. Poi l'esistenza prende altre direzioni. E ti senti pesi così gravi sulle spalle che rischi di rimanerci sotto.
Conosco persone eccezionali che non riescono più a liberarsi dei propri fardelli e spiccare in volo come nel profondo vorrebbero. Perché se “ti guardi” è inevitabile.

A me accadde che una donna sapiente, con l’esperienza della sua lunga e intensa vita, disse: “Ma se Dio ti ama come sei… tu perché non fai uguale?” E quindi, poi, la sola soluzione: vivere di presente. Svanisce la zavorra del passato, non temi l’incertezza del futuro.

Se oggi dovessi banalmente fare un conto del tempo che ancora mi compete, calcolando un’aspettativa di vita quanto mio padre, sono a tre quarti dell’esistenza. Se calcolo mia madre sono ancora più avanti.
La sola cosa che oggi so è di voler solo vivere delle cose giuste, ogni momento ancora. Certo, le cose giuste non è detto che siano divertenti, facili, subitamente appaganti. Capisco che è molto meno doloroso (anzi, pare “meno doloroso”) applicare i vecchi metodi del “morto un papa se ne fa un altro”, oppure “chiodo scaccia chiodo”.
Tanti anni fa in Italia avevamo un refrain in testa, da una bellissima trasmissione di Renzo Arbore: “Non capisco, ma mi adeguo”.
Io invece capisco, ma non mi adeguo.

(foto mia, Biennale Venezia 2012)