domenica 8 dicembre 2013

Le Colonne d'Ercole

L’Odissea, come l’Iliade, come la Divina commedia, come i Promessi sposi: si studiano (studiavano?) a scuola, obbligatorio. Obbligatorio e controproducente, in genere, come tutte le cose se non ben spiegate, coinvolte, amate.

Mi ricordai della storia di Omero tanti anni or sono. Andai a cercarne qualcosa, mi parve la mia storia. E lo era, è la storia dell’uomo. Dell’uomo onesto, quasi direi, che mai si stanca della ricerca, mai termina, si acquieta, si siede, si rilassa. Sempre in una tensione interiore al più, al vero.

Quell’uomo ero io, molto meno ardimentoso certamente, ma nel mio piccolo una qualche ricerca esistenziale andava avanti.
Ho dovuto oltrepassare le Colonne d’Ercole anche io. In mare aperto, e mai avrei immaginato. La paura c’era, l’ansia, il terrore di non ritrovare la bussola per la strada di casa. Ma dovevo andare. Dovevo trovare l’uomo che stava in me, quasi dormiente, in attesa di sbocciare a vita, nascere nuovo. Avevo le mie certezze, ero saturo di cose buone che evidentemente non bastavano. Una inquietudine sottile da anni spingeva sempre più in là. Dolorosa, inimmaginabile, non raccontabile.

Sono andato oltre le Colonne. Ho conosciuto il mare di fuori (come in Sardegna dicono del mare ad ovest), i flutti, le ondate senza posa, la tempesta del cuore.
Evitabile? Non so, questa è la mia storia, mia e di tanti.
Era forse necessario per trovare l’uomo in sé, la propria umanità che stava soffocando, l’uomo che deve essere pieno e vero per essere redento ad immagine del Figlio: vero uomo.

Dopo tanto girovagare, con sirene dappertutto, con la bussola che puntava ovunque lontano, è accaduto l’atteso ma quasi oramai insperato più. La bussola ha ripreso a funzionare. Ovvero: la classica “botta in testa” che permette di ritrovarsi, in sé. Ritrovarsi e ritrovare il Cielo che stava dentro sotto stratificazioni di “altro”.

Dicevo di recente ad una cara amica che la mia vita di oggi, solo, in questo eremo sperso nella nebbia e nel gelo della campagna umbra invernale è ben altro da tanti anni fa, con una famiglia bella, una casa bella, invidiati da tanti. Ma dentro covava il dolore, i problemi irrisolti, la mancanza del senso.

Ieri siamo stati a fare i baby sitter ai nipotini. Sei ore, interrotte solo dal rientro di papà e mamma per cena e qualche gioco coi piccoli. Nella stanza dei giochi, attrezzata proprio per loro due, accade un fatto solito, bellissimo, ma che ancora non avevo “fotografato” in pieno.
Il piccolo Nenno, ora fa dieci mesi, gattona gattona e sempre verso la porta se ne fugge. Se è chiusa si arrabbia, tenta di aprirla. Se è aperta se ne va “oltre”, deve oltrepassare le sue Colonne d’Ercole, novello Ulisse. Ha capito gli spazi e deve scoprire, già quel poco mondo tutto suo non gli basta, ed è un mondo bello, a sua misura.

Era da piangere ma non ne avevo il tempo, occorreva corrergli dietro e badarlo, da bravo nonno…

(foto mia, Biennale Venezia 2012)

domenica 1 dicembre 2013

Fuori!

Scrivo a caldo. Anche se fuori è zero gradi, e siamo nella nebbia assoluta, e comunque in casa non è proprio caldissimo. Ho avuto la fortuna, grande, di partecipare ad un convegno di due giorni ad Assisi. Il tema: “Custodire l’umanità, verso le periferie esistenziali”. Me ne sono scaturiti spunti, riflessioni, verifiche, condivisioni, lacrime. Tento di raccontarvi qualcosa, a caldo. E comincio dalle lacrime. 

C'era una mostra di fotografie, anche. Ne son rimasto più che affascinato. Poi è intervenuta l'autrice, Monika Bulaj. Sentirla e captare il suo amore per l'umanità è stato un tutt'uno con la mia commozione. La fotografia ce l'ho nel sangue, e lei pareva l'incarnazione dei miei sogni di fotografo! Non ho potuto non acquistare un suo libro: Genti di Dio (il libri fotografici costano... e quel che mi ha convinto è stato il risuonarmi dentro parole usuali di mio figlio: "se non investi in cultura, in cosa investi?" ). Purtroppo non son riuscito ad abbracciarla e ringraziarla. 


Quando a fine giugno sono andato a Taiwan per il matrimonio di mio figlio… ero pronto a tutto, dall’altra parte del globo. Ma poi come sempre accade qualcosa di più, di imprevedibile. A Taipei, una popolosa città orientale in cui i cristiani sono una netta minoranza, nostre amiche hanno individuato una chiesa ove poter celebrare le nozze. Una chiesetta con una particolarità, pare, unica al mondo. Chissà poi perché, cosa muoveva l’architetto… insomma: il Crocifisso sta fuori dalla chiesa, ovvero forse nel posto naturale, in una teorica abside che in realtà non c‘è. La chiesa termina prima, con una vetrata. Da dentro lo si vede, lui da fuori guarda l’interno mentre abbraccia la chiesa e tutto. E poi la vetrata, la vedete nella foto della cerimonia, inizialmente era normale, liscia. Poi è stata trovata in questo modo, così “lavorata”, cristallizzata. Forse un terremoto, forse una pietra, forse reazione del vetro. Fatto sta che ora il tutto è davvero più bello! Sembra un vedere attraverso occhi in lacrime, in una situazione di disfacimento. Mi piace molto. Lì, fuori dalla chiesa, sta ad abbracciare davvero l’umanità tutta. Siamo in Asia, e l’umanità è proprio tanta, bella, giovane. 


In questi due giorni ad Assisi mi sono inizialmente e naturalmente trovato vicino ai miei amici: eravamo un bel gruppo, ma qualcosa mi stonava. Ad un certo punto un intervento ha finito di schiudermi gli occhi proprio su quel che vivevo: “Nella modernità l’uomo è fuori, fuori dalla casa del Padre. Come il figliol prodigo…” che sta fuori, lontano, a dilapidare sé e i suoi averi. E il Padre attende: nel dolore, ma attende. 


“Esci dalla tua terra!” dispone Dio nella Bibbia. Ovvero: esci dalla tua zona protetta, in cui stai tanto bene. Il separato ci giunge sempre costretto, dal coniuge, dalla legge, dalle circostanze. Ma poi solo importa che diventi amore, che divenga proiezione all’esterno di sé. Questa infatti l’operazione che occorre: uscire fuori, andare nelle periferie esistenziali a vivere la vita degli uomini, ad abbracciare l’umanità da fuori, che da dentro non è possibile: come custodire, accudire, amare… con i muri di mezzo? 

Credo di aver già scritto del mio deserto durato venti anni. Un deserto che è stato “agli ultimi confini della terra”, pur che non mi sono quasi mosso geograficamente. Ne ho pubblicamente ringraziato Dio e pure la mia sposa, seppur inconsapevole. 

Si avvicina Natale, di nuovo. Mia madre partì alla vigilia del Natale 1996. L'anno dopo, in pieno deserto esistenziale (ma il meglio doveva ancora arrivare!), con questo ulteriore strappo nel cuore, da cose realmente vissute alla stazione Tiburtina a Roma, mi nacque il racconto Christmas. A rileggerlo ora lo trovo molto acerbo nello stile, ma mi stupiscono i contenuti. C'era scritto tutto, o quasi. Questo uscire dal "gruppo", liberi, respirare a pieni polmoni...


Mi vien da sorridere, penso a “San Paolo fuori le mura”, la basilica di Roma. Proprio lui, fuori dalle mura? Coincidenza, per l’uomo che veniva da lontano, arrivava dopo, e parlava ai Gentili, parlava la lingua degli uomini? 

E in fondo in fondo questa mia famiglia così martoriata, come le tante e troppe dei separati, nel suo stare “anomala”, fuori dalle mura, forse sta esattamente dove pensa Papa Francesco. 
Infatti il Golgota stava proprio fuori Gerusalemme. E il Crocifisso solo lì può stare.