domenica 25 agosto 2013

Il settimo autunno

Oggi domenica, a pranzo, da solo, in terrazzo.
Dinanzi a me distese di girasoli che volgono al termine della loro breve intensa esistenza. Dopo tanta bellezza, ora avvizziscono in attesa di divenire utili: probabile olio ad uso degli uomini.
Vedo gli alberi al fiume di colori cangianti, spazzolati dal vento del sud che sta portando ancora temporale.
Il vento già fresco dell’autunno che si incunea prepotente in questo ultimo scorcio d’estate.
Questo è il momento forse più bello dell’anno. La natura si prepara al silenzio, alla morte, dopo tanto splendore e fruttificare. Quanto mi piace! Sarà che a un certo punto mi sono accorto di essere io stesso un fiore autunnale.

Ho quasi invidiato tante coppie di amici che hanno vissuto e vivono storie familiari meno turbolente (presumo, forse!) della nostra. Ma poi ho dovuto capire, ed è stata una grazia, una delle tante, che ogni umano è diverso, ogni coppia è diversa. I progetti di Dio si capiscono solo nel tempo, oltre noi e il nostro errare a volte indicibile, inaccettabile.
Il disegno nasce dal nostro scarabocchio, si sviluppa nella “permissione di Dio” quando è impossibile nella "volontà di Dio”.
Si sviluppa, cresce, diviene utile al genere umano nonostante anzi proprio per i nostri limiti.
Si modella sulla nostra umanità, che a volte si perde sui sentieri tortuosi della vita.
Quando si prendono lucciole per lanterne, quando pare felicità tanta roba che alla fine non lo è.
Quando, caduto nell’inganno per tanto tempo, ti ritrovi lontano dalla tua strada e devi sgobbare per ritrovare la giusta via. Devi ricostruirti e non capisci nemmeno da dove cominciare.

Quando anni fa mi ritrovai appieno in una situazione di questo genere il grande Mario, con la sua consueta sapienza, sapeva indirizzarmi sempre al meglio. Dopo la palestra, con l’attività fisica per salvare il corpo dalla follia, la donazione come cura per il cuore. Continuamente mi trovava da fare: attività che mi erano confacenti e che impedivano il concentrarsi sui propri dolori occupandosi invece dell’umanità.

Eppoi, senza dubbio: silenzio e solitudine.
Silenzio, per ascoltare finalmente la voce del Dio dentro di te, una voce di tenerezza estrema che mai odi se non taci assoluto.
Solitudine, non quella disperante dell’uomo che cerca altri umani per condividere la noia dell’esistere, ma quella vera in Dio: in cui siamo nati, in cui partiremo prima o poi. In cui conviene vivere in questa terra, da subito, per godere appieno del Regno dei cieli. Che è qui, nei paraggi, e quasi sempre non lo avvertiamo, presi nei mille vortici del quotidiano.

Sta arrivando il mio settimo autunno qui nell’eremo.
La vita mi è cambiata tanto, e ancor più avverrà. Alla fine ancora un grazie alla mia sposa che, presumo inconsapevole ma certo strumento di Dio, mi ha costretto a tutto ciò: questa separazione è stata la grazia più grande della mia vita.
Non certo la separazione in sé, né il suo dolore immane.
Ma quello che ne è nato e ne nasce di continuo: la vita, la luce.
Come a dire: "Tutto, sempre, ha, ha avuto, un solo destino: l'unione con Te"...

(foto mia, Spagna - sulla via di Santiago, 2007)

domenica 18 agosto 2013

Troppo rumore, ancora!

Ero bambino, ho un ricordo bellissimo dei temporali estivi. D’estate, appena possibile fuggivo da Roma per starmene su, tra i monti d’Abruzzo, nella mia casa natia. Certi anni pioveva tutti i pomeriggi. Ci rifugiavamo, tre, quattro coetanei, nella soffitta della vecchia casa di famiglia. Si accedeva con una scala di legno quasi verticale, eravamo circondati da foglie di granturco. Quelle che poi, una volta seccate, si usavano per fare i materassi (questa pochi la sanno!). E chi sa quanti topi nel mezzo! Giocavamo al Monopoli, al Totopoli. Fuori diluviava, l’aria diveniva tersa, carica di profumi che ho ancora qui, nel cuore. Sognavamo la vita, si progettavano escursioni sui monti vicini. Poi, cessato il piovere, si tornava sull’aia.

Oggi è arrivato un bel temporale. Stavo cucinandomi alcune cose per i prossimi giorni e per stasera. Mi son sentito l’urgenza di scrivere di questo lembo di esistenza che condivido con voi. E son giunte mail, importanti.

“Conosco questo tuo dolore… perché da oltre 20 anni vivo da vedova bianca, pur condividendo, o talvolta, subendo tutto: casa, figli, hobby. Tranne quel corpo che, grazie alla fusione di due anime ed al dolce incastro di due "carni vive", diventerebbe il tempio ideale per custodire e rendere vivo e operante lo spirito... ed ora quel corpo neanche mi attira più, anzi mi infastidisce! Ho provato con presuntuosa umiltà persino ad offrire tutto pronunciando le parole "...offerto in sacrificio per voi..." ma poi mi chiedo se a questa torta-matrimonio non manchi che lo zucchero e quindi, comunque la si confezioni, risulta sempre troppo amara! Perdona la brutalità ma volevo comunicarti la mia anima che va avanti solo grazie al rapporto con Dio che da anni e anni mi fa ricominciare e sopportare uno stato di cose che definire assurdo è poco!” 

Poi mi giunge Gennaro, con la consueta disarmante nitidezza: “Ciao. Scrivi ed hai un occhio in quello che scrivi. Quello che vedi è pure bello perché fatto con bellezza. Scrivi di scrivere. Un ennesimo lo farebbe.....molti amici e il passaggio della vita. Toccante.” 

“In una serata triste... stasera con l’ultimo tuo scritto giungi a “fagiolo” (come si suol dire). Leggerti mi ha richiamato il senso del dolore, della fatica in salita. Leggere il vuoto che tu comunichi e avvertire che è così, un “alti e bassi”. Voglio solo dirti grazie per ciò che hai scritto nell’ultimo tuo blog e in quello precedente (il baricentro). Che la fatica ce l’abbiamo tutti ma che bisogna andare avanti… Un caro abbraccio! Anna” 

In questo periodo spesso mi sveglio molto presto, prima dell’alba. E stamani è accaduto di ricordarmi del salvaschermo su uno dei miei pc tanti anni fa (forse otto, nove, ma paiono secoli!), un testo scorrevole, molto piccolo, che ricorda: TROPPO RUMORE, ANCORA!
Ecco, il silenzio di Dio di cui recentemente dicevo è la perfetta risposta al mio non silenzio, che mi pare tanto ma evidentemente è ancora troppo rumoroso. Mi son accorto che mai, mai posso dirmi satollo di silenzio, perché è qui solo che Dio può farsi presente: “Ecco, sto alla porta e busso…”. 

Troppo rumore ancora, davvero. Una confusione, tante cose, il corpo in dissoluzione, l’estate, le vacanze (quest’anno troppe, non ci sono abituato!) e poi improvviso accade qualcosa di lancinante al cuore, una saetta che è un dolore di un attimo veloce quasi la luce, e un grazie: “Sì, siamo contenti Signore, quando l’ala di un angelo ci discopre il celeste orizzonte, che la prova ci aveva bruscamente annientato. Siamo contenti, Signore, perché il tuo amore si mostra in quei momenti così onnipotente, che la nostra anima è in adorazione ed esaltazione fino al silenzio…” 
Fino al silenzio!

(foto mia, Umbria 2000)