venerdì 26 luglio 2013

Il corpo incompiuto

So di aver scritto un post equivoco, in qualche modo. Ma l’ultimo post, “Il baricentro”, andava scritto.
Ho prima consultato la mia alter ego, la mia carissima amica Bianca che da quando è iniziata questa avventura sul web mi legge in anteprima, mi tira le orecchie per le virgole o altro, mi da l’ok per la pubblicazione (mica sempre!). All’epoca, questa fu per me “condicio sine qua non”. Senza lei, che vive cinquecento km lontano, non avrei nemmeno iniziato. Serviva una persona esperta di lettere, disponibile a spendere tanto tempo sulle mie parole, con la passione per l’umanità, e lei era perfetta. Perfetta e puntuale, come la sua terra che tanto amo.
Le ho inviato in anteprima il post, con qualche mia perplessità. Mi ha commentato: “Che dire, pubblica .... lo senti, non lo senti, che importa: è un DONO.” Mi ha poi detto di qualche suo momento di aridità… nella scrittura (che bello, anche lei è umana!). E ha terminato: “Un abbraccione, caro Paolo. E grazie per la nostra amicizia!” Un grazie reciproco, mia cara!

Alla pubblicazione son seguite mail allarmate:
“Oh Paoletto, che succede? Cos'è questa stanchezza, questa disillusione? Ripigliati, supera il jet lag e torna tra noi vispo e sereno, nell'abbraccio della Madre e in quello dei fratelli... Con tutte le nostre spine (coniugi poco inclini alla coniugazione) e le nostre rose: amici come te! Anna”
“Deduco dalla lettura del post sul tuo blog (ammazza quante parole inglesi...) che forse il viaggio non è andato benissimo. Non ci siamo più sentiti, come stai? Come va? Batti un colpo quando hai bisogno di parlare. Questo è il mio numero:… Francesca”
“Ciao Paolo, vorrei portare un po' del tuo peso...... Sentiamoci! Maurizio”

Sono reduce da un viaggio - lungo e importante! - dall’altra parte della terra, ne sto scrivendo. Colgo l’occasione e rispondo in pubblico… per eventuali altre affettuose preoccupazioni (grazie!)
Il viaggio e tutto: andato molto benissimo! (lo so che non si può dire, ma rende bene!)
È che io adesso fatico a riprendermi, a rientrare nella vita usuale, e litigo con l’Eterno Padre: quando pare che non ce la fai più e ti manca il respiro…

Sono accadute tante cose in quelle due settimane, di vario genere, ma soprattutto: belle! E per questo ora la mia umanità fatica... ma sono momenti. Mi pareva giusto scrivere anche queste cose, perché alla fine son queste che fanno crescere, mica solo i momenti belli!
Come quando sali in montagna... la fatica è nella salita, mica nell’andare in piano! Però è poi la salita che ti fa arrivare alla vetta. Bisogna prendere coscienza che questo non è il Dio delle pianure, semmai è il Dio della salite... basti pensare al Golgota (beh, la condizione del separato un poco ci somiglia, no?!)
Poi l’Asia mica è uno scherzo… e io fatico a riprendermi, qui nell’eremo!

Comunque credo che occorra anche imparare a chiamare le cose col loro nome. Il dolore si chiama dolore. Poi lo si può vivere in tanti modi diversi. Ma dolore si chiama, ed è.
E la vita non sempre è uguale. A volte sei contento, che questo dolore della salita ti porta in alto, sulla vetta che vuoi raggiungere... altre volte ti manca il fiato e ti chiedi perché, che ci stai a fare, forse stavi meglio al mare sdraiato al sole...

Essì, la verità che è che sono uomo, non “essere angelico”, e questo scalare la montagna della vita a volte affatica, a volte dona gioie impossibili, ineffabili. Uomo col cuore che palpita: quando batte forte, quando pare scoppiare. Uomo libero che decide, con tutto quello che ne consegue, per il Dio di Gesù Cristo, quello andato a farsi crocifiggere a abbandonare per amore. Quello che dopo tre giorni e tre lunghissime notti è risorto. Risorto donando luce agli occhi della Madre che in Lui credeva, e sentiva che sarebbe risorto. Contro tutti e contro tutte le “umane” considerazioni.

D’altronde è proprio vero che “…l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due ma una sola carne…”: lo sperimentiamo in tanti in prima persona, continuando a vivere nel nostro matrimonio. Io mi trovo solo ad essere la punta dell’iceberg. E posso assicurare che il dolore, che parrebbe una cosa affettiva, della mente… è invece corporeo, ti trovi una parte di corpo mancante, stai incompiuto.
Questo il matrimonio, specie quello cristiano: realtà anche della carne, che può rendere il corpo realizzato, il corpo incompiuto.

(foto mia, Sicilia, estate 2010)

domenica 21 luglio 2013

Il baricentro

Tempo fa, dopo un periodo di latenza come questo ultimo, un amico mi ha scritto due righe, rammentando il mio compito di scrivere per il blog.
Chiede: problemi?
Beh, volevo rispondere: sì, uno solo: la vita.
Questa vita che mai è uguale a sé, che scorre vertiginosa e spaventevole, che ti inchioda e ti libera, che ti opprime ti seduce ti commuove. Ti avvicina.
Sì, alla fine questo è vivere: avvicinarsi. Un tempo si studiava al Catechismo, era una delle cose basilari: il perché della vita, a cosa serve. Oggi non so se è ancora eguale. Però mi accorgo di quanto fosse vero, e certo all’epoca mica potevo capirlo. Ma ci credevamo, semplicemente perché così ci si insegnava.
Oggi mi pare che invece tutto sia in discussione, e cosa credere più? Forse dall’esperienza, dal provare direttamente?

Più volte, cercando cose sul web, mi sono imbattuto in persone che fanno recensioni di tutto, dai cellulari alle macchine fotografiche, alle lavatrici, che commentano i film visti. Poi c’è chi scrive poesie, chi racconti, chi blog (!). Chi monta film su canzoni altrui. Chi produce video in proprio. Insomma, oggi la parola d’ordine pare sia: essere protagonisti. Non più discenti, ma direttamente coinvolti: “Non ci credo se non ne ho esperienza”. Un bel passo avanti dell’uomo nei confronti della storia, del Dio della storia. Protagonista e non più passivo. Dio è a un passo, non più realtà lontana, non più da altri mediata ma im-mediata, tangibile.

La vita, dicevo. Sono al punto che questo scrivere, che è stato una bellissima esperienza di crescita, in tutti i sensi, non mi piace più, divenuto difficile capire se sono soddisfatto e posso pubblicare, oppure devo fare ritocchi o stravolgimenti. Mi è divenuto trasparente, senza più peso, importanza. Pure gli apprezzamenti eventuali, le condivisioni.

Tutto in crisi, che meraviglia. Segno buono, si cresce, come direbbe Juan de la Cruz:

Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente. 
Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. 
Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente. 
Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente. 
Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi. 
Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai. 
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai. 
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei. 

D’altronde questo mio scrivere, né professionista, né pennivendolo, è strettamente connesso al vivere. E il vivere ti cambia. Ora, dopo tanta luce, siamo ad un ennesimo silenzio di Dio, quando tutto attorno tace, pure la natura che invece fuori è esplosa in una ricca estate… e tocca ogni volta ritrovare il proprio centro, diverso da quello di ieri, non ancora quello di domani: il proprio baricentro di oggi.
Alla fine riesco a scrivere, sto qui a condividere la vita perché mi viene richiesto, ed è assolutamente giusto e bello: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

(foto mia, Umbria, estate 2011)