martedì 19 marzo 2013

La madre superiora

Son qui davanti al computer, a scrivere, ancora. In questo squarcio di esistenza è la cosa più importante che poteva accadermi, imprevista, imprevedibile. Pure oggi più persone mi hanno ringraziato, e io ringrazio Iddio di quanto accade. Sono strumento, piccolo, ignaro, commosso.

Giornata di corse, due volte da mia figlia, coi piccoli che in qualche maniera richiedevano l’intervento del nonno, ma… tutto secondo copione!
Ricordo papà e mamma, nonni d’eccezione. Quando dovevano fare da baby sitter giungevano da noi alle 7,30 di mattina, forse pure prima. Attraversando Roma con i mezzi pubblici, significava partire almeno alle 6,30, col freddo o con la pioggia era uguale. Avevano due piccoli, con diciotto mesi di differenza, da gestire. Disponibilità assoluta, e mai a mani vuote. E noi genitori si partiva per il lavoro.

Tempo fa, una cena con amici e amiche. Una di noi, suora, ci comunicò che a breve sarebbe partita, la madre superiora aveva disposto che lei andasse altrove. Ci fu una sollevazione popolare! Nessuno voleva vederla partire, troppo preziosa lei, la sua presenza, la sua opera. Ma lei spiazzò tutti: quel che decide la madre superiora è legge. La mia vita: in essa la volontà di Dio su di me.
Ecco, di colpo l’illuminazione che anch’io avevo la mia brava madre superiora: la mia sposa. Questo è il matrimonio, un po’ come entrare in convento, anzi forse più stretto, se possibile. Nel convento puoi trovare situazioni difficili, ma comunque sempre sperare che prima o poi migliorino. Quando ti sposi è una persona sola, rapporto 1:1, per sempre. Un bel casino! E se poi scopri di aver sposato una persona estranea? Se ti senti incompatibile? E se poi ti lascia? E se poi tu ti innamori altrove?

Mi scrive una cara amica. "Carissimo Paolo, non é la prima volta che proponi di stare a pranzo insieme ed io non ti rispondo subito, perché mi riprometto di trovare un posticino per me, per incontrare un amico e trascorrere due ore piacevoli; poi passano i giorni, i mesi addirittura ed io sono sempre qui che cerco uno spazio da dedicarmi. Vedi, per un padre è più semplice perché non ha con sé i figli. Io credimi: corro come una pazza tutta la settimana, tra compiti, il lavoro, panni da stirare, casa da pulire, i piccoli da accompagnare ovunque... Sto diventando letteralmente matta, oltretutto mi ritrovo a gestire quotidianamente il mio grande dolore e tanta solitudine, ma soprattutto quello dei figli. A volte sono stremata, non ce la faccio a mantenere la pazienza anche con loro, povere le mie stelle; e allora sensi di colpa a non finire... Soprattutto di sera sono molto stanca... e mi assale una malinconia da non credere... quando vedo le porte chiuse delle case e percepisco che lì dentro c'è una famiglia al completo attorno ad una tavola... può essere la famiglia più stramba, più problematica al mondo, ma è pur sempre completa, e quel che apprezzi in queste situazioni è la loro voglia di combattere ogni giorno contro i problemi... insieme!!!! Pensi che riuscirò mai ad uscire da questi stati d'animo, Paolo? Lo spero proprio... Ma è comunque difficile. Avrei tanto bisogno di parlarti, perché tu, già dai post che pubblichi sul blog mi trasmetti tanto!!!! E ti ringrazio perché in questo mondo ovunque ti giri alla ricerca disperata di una parolina che ti illumini la mente, trovi persone che ti rispondono: ma mandalo a quel paese!!!! Trovane un altro!!! Non pensare più a lui..."

Ho già scritto del dolore in una donna abbandonata, che ritengo più grande che in un uomo abbandonato. Non solo per l’amore grande che ho per “la donna”. Ma perché oggettivamente così, con tutti gli annessi e connessi.
A volte urla pure il corpo, lo so bene, oltre il cuore sventrato. D'altronde non è facile mai digerire un tale cambio di programma nella vita… un po’ come le decisioni della madre superiora?

(foto mia, Umbria 2006)

giovedì 14 marzo 2013

La luce di marzo

Di ritorno da casa di mia figlia. Ero rimasto lì ad occuparmi del piccolo di venti giorni, e permettere a tutti di cenare in tranquillità. Veramente mi dava molto piacere tenerlo, un tenerino che stava un poco agitato, e poi mi si è addormentato tra le braccia. Son venuto via presto, che a casa molte cose da sistemare mi attendevano, tra cui questo scrivere.

Ho ricevuto il messaggio di un’amica: “Paolo, abbiamo il Papa!”. E quindi poi la trepidazione di sapere “chi”. Debbo dire: commozione. Intanto, altro rispetto ai patetici pronostici giornalistici, basati su ragionamenti, forse pure logici, ma molto terranei e quindi fallaci e ignoranti delle cose di Dio. Poi vederlo lì, decisamente spaesato, imprevisto. Vero, umano. Un gesuita di “nome nuovo” Francesco! E preso “quasi alla fine del mondo”!

Già da qualche giorno, al mattino alle sette, quando esco di casa, e non piove, vedo spuntare il sole dalle colline, una novità bellissima: sino a poco fa era notte! Forse è l’invecchiare, forse la solitudine, forse il gelo, l’umidità, ma amo sempre meno l’inverno. Certe mattine è dura, che è presto, che è freddo. Eppure si va. Parlo da solo, ma è inevitabile. E spesso mi colgo in un sorriso. Mi chiedo: come potrei affrontare la giornata, e la vita, senza Dio? Col cuore pesante farmi scorrere l’intera esistenza?
“Sperimentare la solitudine, quella vera, che corrode il cuore anche in mezzo ai richiami sempre più pressanti di migliaia di esseri che ci somigliano, ma il cuore non riconosce simili. … momenti in cui la consapevolezza di esistere diventa un peso insostenibile e ogni cosa urla dolore insieme a noi.”
L’inverno che mai termina, davvero “gli ultimi confini della terra”.

Certo, poi non posso non tornare al senso dell’esistere, vista la rapidità con cui mi terminano le giornate (e presumo di tutti, ovunque). E quindi assume una rinnovata sacralità, e forse immortalità, ogni momento che vivo “oltre”, che vivo fuori di me, che vivo “Altro”. Mi appare incredibile, eppure mi trovo persino a guidare la macchina con molta calma, cosa che in anni passati pareva impossibile.

A Madre Teresa che toccava i lebbrosi, curandoli, qualcuno disse che nemmeno per un milione di dollari lo avrebbe fatto. Rispose che pure lei non lo avrebbe fatto, nemmeno per il doppio, se fosse stato per denaro. 

La luce di marzo. Eccola primavera, di nuovo, ancora.

(foto mia, monte Subasio 2011)

lunedì 4 marzo 2013

Il Regno dei cieli è vicino


Negli scorsi giorni doveva nascere il secondo nipote, sapevo che mia figlia stava andando in ospedale, il tempo era giunto. Poi la telefonata: è nato. Ho preso un permesso, son corso. C’ero solo io. Mi pareva quando nel Vangelo si dice che Giovanni aveva corso più degli altri, era arrivato prima. Ma ci ho riso da solo: qui non c’era merito particolare, casuale. Ho piuttosto avuto la fortuna di godermi una scena unica, peccato non avere come fotografare e immortalare (in realtà avevo la macchina con me, ma era nello zainetto… argh, gravissimo!). All’uscita dalla sala parto, uno spettacolo imprevisto: lei sul letto spinto da infermiera, sorridente, serena. E il piccolo in braccio al padre. Da subito. Ai miei tempi era inimmaginabile! Ecco: il mondo è andato avanti.
 
Poi nel pomeriggio è arrivato Titto, il primogenito, due anni. Sapeva che nasceva il fratellino, glielo avevano spiegato, aveva sentito la pancia… ma possibile così piccolo e così buffo? Poi piangeva pure! Lui stava attonito, un nuovo mondo… e di colpo si è trovato grande: tutto è relativo, bisognerà spiegarglielo, un giorno.
 
Sono stato ad un convegno di famiglie. Qualcuno in perfetta buonafede mi ha chiesto come mai ci stavo, dato che evidentemente la mia condizione di separato strideva col concetto di famiglia. Ci ho ragionato, è servito. E mi sono reso conto che quello è il mio posto, il posto dei separati.
La famiglia è anche questo, non ci eravamo né abituati né preparati. Ma tutti, sposandoci, abbiamo letto con voce alta, magari commossa: “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”.
E sono certo che nessuno mai pensa che malattia e dolore lambiranno la propria vita coniugale. Ci si sposa gonfi di felicità, i problemi saranno per altri, mica per noi, noi ci vogliamo così bene!
 
Invece il dolore è lì, pronto, basta vivere. La salute con gli anni non migliora di sicuro. E il matrimonio può divenire la tomba dell’amore, piuttosto che la fonte dell'amore sempre nuovo e sempre in crescita.
 
Ma la famiglia rimane, anzi. Questo mio vivere solo mi pone in una situazione drammatica ma generatrice di vita, dolorosissima ma serena. Anzi no, è molto di più, è la certezza di fare le cose giuste, di stare dentro la famiglia più bella della terra, perché è la “mia” famiglia e ne sono innamorato e non la cambierei con nessuna al mondo. E non significa famiglia perfetta, o di geni, o di santi. Significa che questa è la “mia” famiglia e per essa vivo, e devo vivere, prima di qualsiasi altra cosa.
 
La separazione, il divorzio, non cambiano la mia famiglia. Anzi, la introducono a pieno titolo nel mistero del Golgota, lì dove si è compiuta la storia degli uomini. Si è compiuta e si compie ogni giorno, ogni istante che l’amore continua: oltre la morte, lo sbeffeggiamento, la derisione, oltre le lacrime, le urla, il senso di impotenza, l’annientamento.
E quindi, poi, la Resurrezione. La morte è questo, no? Il passaggio, poi si risorge, lo sappiamo. Ma qualcuno deve rimanere nell’amore. Quei tre giorni e tre notti della morte, della discesa agli inferi, qualcuno sulla terra era rimasto nell’amore: la Madre. Che forse non sapeva e non capiva, ma aveva preso Giovanni con sé: l’amore. Appunto: la famiglia.
 
Se la mia avesse continuato ad essere “normale” (concetto che temo dovremo rivedere), stasera non sarei qui a scrivere, con la Messa da Requiem di Verdi che mi suona tutta attorno, grandiosa.
E non riceverei anche grandi inaspettate gioie. Una persona, a me sconosciuta, è venuta a dirmi, e stava col cuore in mano, si vedeva: “Grazie di farmi entrare nella tua casa!” Grazie a te, l’amore circola!
 
La liturgia ricordava che il Regno dei cieli è vicino. Lo sappiamo da duemila anni. Stasera mi pare proprio vicinissimo.
 
(foto mia, inverno 2012)