martedì 31 gennaio 2012

L'abbraccio caldo e protettivo

Per uno che vive solo, in campagna, l'automobile è importante. Se poi ci passi dentro tanto tempo della tua vita, diviene quasi parte di te. Dopo anni e anni ti ci affezioni, in qualche modo.

Sono stato quasi un settimana senza automobile, guasta, in cura dal meccanico. Infine tornata alla vita. Giorni di un vivere diverso, in cui devi approfittare di passaggi, da persone peraltro generose e senza remore. Ma in cui ti cambia la vita, perdi l’autonomia, la libertà, sei quasi un recluso nell’eremo. La sola urgenza è stata il mio caro yogurt(!), nel frattempo terminato. Per il resto, tra polenta e qualcosa in freezer sempre si mangia. Senza certezze del domani… ma poi: chi ce l’ha davvero le certezze?

Quando alfine sembrava tutto sistemato e superata l’ennesima prova, la mia vecchia amata Golf è giunta all’atto finale. È esploso il collettore di scarico, un boato enorme. Gente si è affacciata alla finestra. E stavo praticamente fermo. Se fosse accaduto in movimento mi sarei trovato senza servofreno né servosterzo e col motore schizzato a seimila giri.
Ci leggo l’ennesima prova della presenza del Cielo nella mia vita, che in qualche modo comunque mi preserva dal peggio.
Poi son stato due giorni in una situazione strana, quasi come pugile suonato. Come svegliarsi di botto in un mondo cambiato: devo riorganizzare la vita, di nuovo, ancora.
Ho faticato un po’ ad aggiornarmi: questa spesa proprio non ci voleva, ma capisco che devo fare un altro, ulteriore passo. Un passo nel nulla, un nuovo atto di fede.

Nei giorni scorsi sul web un articolo che titola:
“Chi dorme da solo dorme peggio (anche se non ne è consapevole)”
beh, come non leggerlo? Poi seguita: “Lo indica uno studio americano. Il rimedio? Il caldo «abbraccio» di un bagno caldo… Le migliori dormite le facciamo quando non ci sentiamo soli, esclusi o isolati dagli altri e se abbiamo al nostro fianco un compagno o una compagna di vita. Quando invece ci sembra di essere esclusi dal contesto sociale la nostra solitudine esistenziale ci segue anche nel sonno che inizia a frammentarsi con frequenti risvegli notturni anche se apparentemente dormiamo lo stesso numero di ore e ci sembra di aver trascorso tutta la notte fra le braccia di Morfeo…
…95 persone sono state prima valutate con test psicologici sui loro livelli di solitudine percepita, depressione, ansia e stress, nonché sulla qualità di sonno soggettiva…
…per sopravvivere l’uomo ha dovuto fare affidamento al cordone di sicurezza della sua comunità. Sentirsi soli fa percepire la mancanza di questo senso di protezione sociale e per contrastare il senso di vulnerabilità che ne deriva attiviamo i nostri sistemi d’allerta che non ci fanno più dormire sonni tranquilli. Accade un po’ la stessa cosa ad esempio nella coppia dove la moglie dorme meglio se il marito non è fuori casa per lavoro o ai bambini che si addormentano subito solo fra le braccia protettive della madre…


Interessante questa ricerca scientifica sul sonno, mi sottolineo qualcosa: caldo abbraccio, solitudine percepita, protezione sociale, braccia protettive…
E penso ai primi tempi da solo, la notte, senza la mia sposa. Dormire solo, un grande trauma. Non ricordo bene (la mente umana è davvero straordinaria nel dimenticare, a volte!) ma credo per un paio d’anni di aver dormito circa tre ore a notte. Da uscirne con la salute mentale rovinata. Anche perché il pensiero si arrovellava sulle negatività, inevitabile.
Poi qualcosa dentro è cambiato, si è evoluto. Senza medicine, senza psicanalisi.
Ho già scritto delle mie notti solitarie.
Ora dormo bene, compatibilmente con l’età che avanza. Un riposare sereno, il cuore sta altrove oramai.

Senza caldo abbraccio, senza protezione sociale, senza braccia protettive… chissà se la mia “solitudine percepita” ha valori anomali?
Davvero: non so come faccio ad essere vivo.
Ma pare proprio non dipenda da me, assolutamente.

(foto mia, Umbria 2009)

venerdì 20 gennaio 2012

La vita è breve, fatti un amante!

Tempo fa, avevo ospiti a cena. Uno dei presenti si guarda attorno, mi fa qualche domanda, poi sbotta: “Ma tu come fai a vivere? La sera non vai al bar, e stai pure senza televisione?!”
Beh, vivo meglio!

Da anni, senza televisione. Iniziai nel ‘94, tagliando i telegiornali che mi erano divenuti insopportabili. Qualcosa mi era sopravvissuto, tra intrattenimento e attualità. E mai la TV era accesa durante pranzo o cena. Abbiamo sempre privilegiato il colloquio, facendo crescere i ragazzi in questo clima. Quando poi si ruppe il televisore, riuscii a non ricomprarlo.
E furono anni in cui i ragazzi, in piena crescita, adoperarono il loro tempo, altrimenti passivo davanti ad un tubo catodico, in attività nuove e coinvolgenti. Chi lesse una settantina di libri in un anno, chi imparò e prese gusto a giocare a carte…

Io nel frattempo mi ero disintossicato del tutto, e da allora vivo benissimo senza il fastidio della TV. Sì, fastidio. Una cosa che ti toglie il tempo, la vita, vuole ridurti alla passività, inculcarti valori al contrario.
Certo, non tutto è così. E poi, in fondo la televisione è neutra di per sé, non è negativa né positiva: dipende da come la usa chi la produce e chi la subisce. Ma io vedo un imbarbarimento progressivo…
Per cui quando poi è nato il web mi ci son trovato in pieno. Sono io che decido cosa come quando e perché leggere, o udire o vedere. Mi son ripreso la mia libertà.

Stare soli non è facile, e certo capisco bene quanto la TV possa essere una compagnia, aiutare anche nella vita. Quando son venuto qui nell'eremo ben due amici volevano regalarmi un televisore! Ma io ho scelto la linea dura, controcorrente (per la verità non ci ho sofferto): niente TV per scelta.
Silenzio e solitudine. Non so se possono essere ricetta valida per chiunque, ovunque e comunque. Per me lo sono stati.

L’altra sera, tra una telefonata, una email e appunti per il blog, sono andato ad approfondire una notizia. Una "grande novità": un sito che propone incontri tra persone sposate! Sinora evidentemente si sapeva solo di siti per far incontrare single.
Ma la cosa interessante è lo slogan, che pare abbia fruttato già dodici milioni di utenti (non viene detto dove, ma credo sia negli USA): “La vita è breve, fatti un amante!”.
Ovvero: dodici milioni di persone sposate che stanno cercando un amante via web.
Persone coniugate, ma che evidentemente si sentono sole, insoddisfatte, scontente. Insomma, c’è un problema, altrimenti perché farsi un amante?

Certo, mai la vita matrimoniale realizza il sogno dei fidanzati.
Pur con sfumature diverse, sempre ci si scontra con la disillusione, la delusione dell’altro (è sempre l'altro!). Si viene sommersi dalla vita di tutti i giorni, muoiono romanticismi, sogni, progettualità, confidenza. Tanto è vero che è nato il detto: “Il matrimonio è la tomba dell’amore”.

In fondo, questo ragionamento me lo sento proporre quasi tutti i giorni: “Rifatti una vita, non vivere di sogno!” E io a spiegare che sono sposato, che sto vivendo appieno il mio matrimonio, seppur certo anomalo e non facile: la reciprocità è fondamentale in una coppia. Sennò che coppia è?

Di recente ho avuto un problema al ginocchio sinistro, molto dolore, impossibilità a piegarlo. Quindi claudicante, grande fatica nel camminare e specie nel fare le ripide scale, qui nel mio eremo. E mi son detto: “Meno male che il destro, che poi sembrava il più fragile, un po’ funziona, sennò!”.

Solo dopo mi son reso conto della verità che stavo scoprendo, stupefatto: questo è il matrimonio. Se uno dei due non funziona, l’altro funziona doppio! E se si fermasse pure il ginocchio destro?

Altro che tomba.
Il matrimonio, quello vero, è la tromba dell’amore.
E a volte la vita va oltre i sogni dei fidanzati, molto oltre…

(foto mia, Notte noir, L'Aquila 2006)

venerdì 13 gennaio 2012

Capodanno

Le feste natalizie terminate rapidamente come non mai, quest'anno.
Un Natale eccezionale davvero. Giornate piene, di stanchezza anche, profonda. Turbinio, viavai, corse continue. Tutto oramai ruota attorno al mio nipotino, un “attira-baci” straordinario.

Dopo tanti momenti belli e intensi, in cui sono stato bene, in donazione grande, nel cuore del Padre mi sembra, son subito cominciati i distacchi. Vengono sempre, pare.
Per prima è partita la mia sposa.
Il giorno dopo è partito mio fratello con la sua famiglia.
Poi ancora mio figlio con la fidanzata.
Una sfilza di dolori. E si è tornati alla vita di tutti i giorni.

Poi la sera dell’ultimo dell’anno con le mie figlie. Son presto tornato a casa, stanco, con le ginocchia doloranti.
Poco dopo, in risposta ad un mio precedente, mi giunge un sms da persona cara: “Un bacio”.
Poi saprò che ha passato il fine anno al mare, in solitudine.

Al mattino del Capodanno, presto, un amico sacerdote mi scrive: “Maria ecco tuo figlio… Giovanni ecco tua madre… e da quel momento egli la prese nella sua casa. Prendiamo in questo 2012 Maria nella casa del nostro cuore e affidiamo al suo amore di mamma quest'anno con tutto ciò che ci succederà. Buon anno!”

Un bell’inizio, mi son detto. Dalla memoria ripesco il ritornello di una canzone: “Maria, vieni a casa mia…”. Poi vado a messa e trovo un sacerdote molto anziano che inizia la sua omelia citando quelle stesse parole dal Vangelo di Giovanni. Oggi è una festa di Maria ma in tutt’altro contesto, non è questo il Vangelo odierno. Un brivido: mi rendo conto che sto sotto attacco concentrico.

In questa chiesa di campagna mi accade qualcosa di molto bello. Negli istanti di silenzio il solo rumore è lo scrosciare dell'acqua del presepe. Le pareti, la luce, mi evocano momenti del mio passato. Ma è soprattutto questa sensazione stamani di serenità infinita, nelle mani del Padre, nel cuore della Madre. A volte pare tornare in cose già vissute, in sensazioni dell'infanzia che danno una silenziosa e profonda felicità. Quasi un tornare a casa, un dejà vu che acquista man mano nitidezza nell'animo.
Sai che il giro del mondo che hai fatto e che ti ha portato lontano è utile perché ti ha dilatato il cuore. Forse si poteva evitare, e soffrire di meno e generare meno dolore. Ma la dietrologia in questi casi diviene una stupida tentazione.
Tempo fa partecipai ad una tavola rotonda. Al termine, una signora dotata di anni e sapienza mi abbracciò dicendo “Sai Paolo, deve proprio essere vero che anche dalle permissioni Dio sa trarre grande bene!”.

È vero, siamo seguaci di un Dio in-credibile alle nostre povere menti.
La permissione, il male, può generare il bene.
Lasciando all'uomo la libertà assoluta del bene e del male, Dio sapeva che poteva avvenire di tutto, come infatti avviene. Raramente accade quel che Dio vuole, e ben più spesso ciò che Dio certo non vorrebbe, ma permette. Un quadro desolante.
Ma è questa l'epoca della tramutazione dell'acqua in vino.
Dare il nome giusto al dolore. E tutto può costruire, ricondurre all'Uno, al Bene supremo.

Mi giunge poi un messaggio di una cara vecchia amica, in questi giorni sola, senza figlia, che perentoria mi chiede quando la invito a cena.
Beh, inizio anno in grande stile davvero…

(foto mia, Umbria 2006)

venerdì 6 gennaio 2012

Il dolore universale


La vigilia di Natale, a cena da mia figlia, eravamo undici. Ho cucinato dalla mattina, e poi portato tutto di corsa da lei: c’è il piccolo (cresce, eh! nove mesi oramai... prima o poi ne parleremo) e tutto si svolge lì da loro, inevitabilmente.

Dopo cena, mentre tutti erano ancora a tavola, lei è andata sul divano per dare il latte col biberon al piccolo, prima della nanna.
E io sono andato sulla poltrona di fronte a godermi lo spettacolo.

Lui beveva, felice in braccio alla mamma, con le sue braccia rilassate, serene, nel vuoto.
Una luce, a quella vista: "...e Suo è il dolore universale e quindi mio".
Quella scena, che in qualche modo mi evocava Michelangelo, La Pietà, pur in situazioni completamente differenti, mi ha illuminato sul sottinteso, che forse nemmeno io avevo colto appieno, del mio ultimo intervento sul blog: "Il nome del dolore".
Questo stare nelle braccia di chi ti ama...

Nel frattempo mi ha scritto Max, dopo aver parlato di lui nel post ultimo:

Io ho sempre paura quando si giunge a fare una "classifica" dei dolori.
Penso i bambini delle favelas che rovistano nell'immondizia non per cercare scarti da riciclare, ma per trovare qualcosa da mangiare .
Oppure a una amica molto robusta che, anni fa, viveva un momento di depressione per il suo stato fisico, nulla in confronto ad altri patimenti. Ma in quel momento, quello era per lei un dolore straziante e insopportabile, anche se insignificante per altri.
Mi chiedo sempre quale sia il punto più basso del dolore, quello che è al limite della sopportazione, che appena ti riesci a mantenere in vita.

Penso che la sola cosa che possa superare il dolore sia la dignità. Conservare la dignità è sapere che quel dolore, qualsiasi esso sia, ti nobilita e ti rende unico. Ecco, credo che oltre le parole e le "prediche" sentite in tanti anni, solo Gesù che muore in croce abbandonato dal Padre abbia dato dignità al dolore.

Mi viene in mente quando sono stato a Lourdes, due anni fa ormai. Difficile spiegare a parole, ma la sensazione, fortissima, è che "quel" mondo non si divide in fortunati (quelli che sono sani e in piedi sulle proprie gambe) e sfortunati (quelli sulle sedie a rotelle o allungati ai lettini, attaccati ai respiratori artificiali). Ma il dolore, la sua dignità, prevale su ogni cosa.
Davanti ad una ragazza, bellissima, con un sorriso dolcissimo, costretta su una sedia a rotelle, ti senti una nullità, non perché ti "vergogni" di essere sano, ma perché avverti che lei è tutto e tu sei niente.

Pensa, quando mia madre mi invita a pranzo la domenica, lei lo fa per offrirmi, oltre ad un pasto completo, un momento di spensieratezza, eppure io rinuncerei all'invito solo perché, da 20 anni, per mettere un giacchino a mio figlio o anche solo per vestirlo, con la sua disabilità psicomotoria, è una lotta che ti lascia senza forze. Mangerei pane e acqua, pur di evitare per una volta di vestirlo. Eppure è un "dolore" insignificante, ma ormai lo tollero sempre meno, perché è così e così sarà sempre. Non ha fine, non ha consolazione.

Sarà l'età che avanza, lo stato fisico non più efficiente come un tempo, ma questa solitudine fisica (e psicologica) la avverto pesantissima in questo ultimo periodo. Forse sto idealizzando, le realtà sono sempre diverse dai nostri sogni (in fin dei conti la mia esperienza matrimoniale dovrebbe dimostrarmi il contrario) ma per tenermi in vita devo poter pensare a qualcosa di positivo, anche se irrealizzabile.
Il guaio è quando comincio a pensare che è irrealizzabile, che mi viene lo scoramento.

Grazie del tuo pensiero e della tua condivisione, Paolo.
Il fatto di restare senza parole dinanzi alle questioni che ti pongo, non lo intendo come leggerezza o disinteresse, anzi, mi sento più compreso di quanto tu possa pensare. ;)
Un abbraccio!
Max


(foto mia - febbraio 2011)