mercoledì 12 dicembre 2012

Week end d'amore

Sono di ritorno da una rapidissima puntata al nord, trentadue ore in tutto, di cui buona parte passate in treno. Avevo un invito a cui si può solo aderire. Mi è stato chiesto di dire quanto sto vivendo in questa fase della mia esistenza.
Nei giorni immediatamente precedenti mi sono ammalato, poi era un freddo glaciale… insomma, c’erano tanti buoni motivi per starsene a casa. Oltretutto, sapevo di avere dinanzi un insieme di persone di cui poco o nulla sapevo. Praticamente, un tuffo nell’ignoto.
Sono invece partito in una gelida pre-alba conscio che quanto vivo non dipende da me, non ho certo scelto io questa condizione di vita, e quindi indubbiamente rientra nei piani di Dio. Quel che comunemente si chiama volontà o permissione di Dio. Come a dire: non la mia, ma la tua volontà si compia. Che per lo sposato cristiano si compie primariamente nella volontà del coniuge.

È certo vero che della mia vita so bene, potrei parlarne per giorni, ma bisogna sapere cosa e come dire, e poi concentrare a quel che solo conta, il soprannaturale. (Ma chi sono io per tutto questo?)

Mi son trovato anche a rispondere a domande su quanto detto, ed alcune erano davvero “toste”. Mi aspettavo il massacro, perché so di essere dirompente. D'altronde mi accade tutti i giorni: perché vivi solo? Perché sei fedele? Perché il dolore? Perché?
Due anziane signore son state molto affettuose, hanno cercato di convincermi che la vita è un soffio, è già finita, e bisogna darsi da fare.

Il feedback che ricevo è molto positivo. Ma il tutto non dipende da me, so bene di essere nessuno, io ho piena coscienza della mia pochezza. Strumento, come scriveva la mia amica nello scorso post, solo strumento: più scorzato = più funzionale.
Come tutte le cose di Dio, sapevo che ad ogni “sacrificio” corrisponde una crescita moltiplicata, ne avevo già esperienza. E questo è stato.

Il mattino dopo, altra alba, neve e ghiaccio. Il treno pare abbia trovato i binari ghiacciati per cui ci ha messo il doppio del tempo programmato. Arrivo trafelato a prendere la coincidenza a Firenze, e il treno mi parte sotto il naso… E trovo un altro lasciato a terra, come me. Parlando, vien fuori che ho lasciato la mia automobile quasi sotto casa sua. Mi offre un passaggio. Prendiamo un altro treno per una fermata intermedia, ove ha lasciato la sua macchina. Alla fine arrivo a destinazione prima dell’orario previsto se tutto fosse filato liscio, incredibile!

Incontro occasionale di due sconosciuti, ci diciamo alcune cose di noi. Intuisco che anche lui sta separato, e torna da week end in altra realtà. Poi infatti mi dirà che si è inventato una fidanzata al nord, dopo la separazione.
Lui torna da un week end d’amore. Pure io! Ma situazioni decisamente diverse.
Ricordo le due signore che nel volermi bene hanno invano tentato di persuadermi che dovrei vivere in quest’altra maniera.

Sarà che sono un testardo abruzzese di montagna, sarà che sono un “ariete”, sarà che sono rapito da questo Dio bello della mia infanzia che continuamente ri-scopro nel vivere, sarà che così bene non sono mai stato… insomma, non mi compare la minima voglia di vivere week end di altro amore.
E garantisco che la solitudine non è facile, la vecchiaia avanza davvero.

(foto mia, Umbria 2008)

venerdì 7 dicembre 2012

Sursum corda!

Alcune settimane fa, quando qui in Umbria si è scatenato il nubifragio, avevo da incontrare degli amici e, da perfetto incosciente (forse), son tornato a casa la sera tardi. Per strada era un diluvio mai visto, pericolosissimo, e le macchine viaggiavano incolonnate sulla destra, sui 60 km orari, mentre gli autotreni sfrecciavano veloci in corsia di sorpasso. Nemmeno nei film!

Son rientrato in casa giusto in tempo: poco dopo sono esondati due fossi e mi son trovato circondato dall’acqua, e qualcosa è entrato pure in casa e in cantina. In quei momenti, mentre vedevo l’acqua salire di livello e tentavo di arginare la marea silenziosa e inesorabile, mi veniva da parlare col Cielo, col mio Dio che certo vedeva quanto stava accadendo. Forse ho pregato, istintivo. Ma ero preso dal “fare”, non potevo fermarmi, completamente fradicio e infangato.
I danni alfine son stati davvero pochi - poteva accadere molto peggio - poi l’acqua ha trovato una via d’uscita ed è defluita via, rapida e rumorosa, di un rumore non bello, inquietante.

È piovuto ancora, negli scorsi giorni, e la terra pare non voler più assorbire acqua, laghi oramai fangosi ovunque. Tornando da una fugace visita al nipotino, la luna veniva riflessa ovunque, pareva di stare dentro una laguna. Uno spettacolo nuovo e bello, seppur preoccupante.

Mio figlio è partito, anche lui con la sua bella dose di incoscienza (forse), a lavorare dall’altra parte del globo. Un tuffo nel buio, e non è la prima volta. Avevo ansia: è così ad ogni partenza anche se so bene che tutto è nelle mani di chi può.

A casa trovo posta, mi ha scritto Gennaro, un caro “amico di email”. Incredibile come spesso riesca a scrivermi parole precise per la mia vita, in un modo poetico e particolare: “Vai avanti: il più è fatto; il più bel cielo porta la nostra coda che è sulla terra”. 

Stamani sto male, coliche, i miei dolori di sempre. Con sacrificio riesco ad avere i soliti orari, la macchina mi segnala che devo urgentemente mettere carburante. Mi fermo, sono nella nebbia. Battute col benzinaio, poi rientro sulla strada. Pericolo di ghiaccio. Sono cosciente che ho una vita sola, e la sto vivendo al massimo. Anche facendo le piccole cose di ogni giorno, senza eventi particolari. Come tutti, quasi tutti sulla terra. Penso a mio figlio che macina migliaia di chilometri come acqua fresca, e affronta mondi nuovi in lingue sconosciute. Io son qui, nella nebbia solita, ma il cuore sta su, molto su.

“Sursum corda!” diceva il celebrante alla messa in latino (vado a memoria): In alto i cuori!, e si rispondeva: “Habemus a dominum”: Abbiamo un Dio! Bellissimo.

Tutto pronto per pubblicare... ma faccio mio quanto mi scrive una carissima amica:
"Oggi... 7 dicembre, un sì all’umanità che patisce, che spera, quella che mi passa accanto... o quella che piange e vuole una consolazione, quella che soffre e vorrebbe trovare un filo di speranza… seppur inadeguatamente fa' o Signore che la trovino in me, in uno sguardo una parola un gesto ‘adeguato’...  fa’ che arrivi TU attraverso di me!"

(foto mia, Umbria 2011)

sabato 24 novembre 2012

Uno strappo, ancora

In questi ultimi giorni ho vissuto un periodo di ferie un po’ particolari. Mi son reso libero per essere a disposizione di mio figlio, di passaggio qui da noi per breve tempo.
D'altronde lo si vede pochissimo da anni, e questa era un'occasione unica. Un respiro ampio di famiglia da fargli portare via. Debbo dire che la famiglia c’è stata, in tutti, e mi pare siamo riusciti nell’intento.

Il culmine ieri sera, riuniti attorno a una tavola, una sorta di ultima cena. Complice la trippa che avevo cucinato in abbondanza per l’occasione. Nel discutere di varie cose, ho fatto un commento molto pesante su una personalità pubblica che reputo abbia fatto delle cose pessime. Eravamo in famiglia: c’è stato un sollevarsi di critiche anche aspre. Vorrei qui chiedere scusa pubblicamente. Ma non intendevo criticare la persona, bensì il suo operato. Con gli anni, anche se a volte può non apparire, sto imparando a leggere le vicende umane, e il cuore degli uomini, con gli occhi di Dio. Che non condanna la persona, distinguendola dal suo agire.
E comunque, incredibile la famiglia! Ti si può obiettare duramente, e un attimo dopo è tutto come prima! Ovvero: il rapporto è superiore al contingente.
Debbo dire che sta circolando molto amore, tenerezza serena, luce.

E stasera, dopo pochi giorni senza un attimo quasi, stanco, il mondo mi è tornato ai ritmi consueti. Oltretutto, questo figlio a breve si trasferirà diecimila chilometri lontano da noi: mi accorgo che devo introdurre nel mio vocabolario della mente nuove nozioni, nuovi parametri. Chilometri? Casa? Famiglia? Le nuove generazioni stanno rivoluzionando questi concetti. Anche se mi viene da pensare ai nostri avi emigranti, certo in situazioni completamente differenti. E a tutti i migranti di oggi in cerca di vita migliore.

Ho una sensazione strana, questo nuovo, ulteriore strappo nella mia vita: dovrei forse dire che nel cuore c’è un dolore in più? Dovrei dire che sono ancora più solo?
Posso solo dire che Dio è ancora più, da stasera, nel mio vivere.

(foto mia, Umbria 2009)

martedì 20 novembre 2012

Lo specchio

È davvero tanto tempo che non mi metto qui a scrivere, per me, per voi. Questa, che mi è stata una felice consuetudine per lunghi mesi, ad un certo punto mi è divenuta quasi un peso. Ho dovuto staccare, non pensarci nemmeno.
Non è la prima volta che accade, ma mai come ora. Tutto è nato a causa di un post importante pronto da pubblicare, ma non piacendomi, dopo tanti tentativi di chiusura… mi sono arreso e mi sono occupato di altro, soprattutto con la mente.

Una sorta di disintossicazione da una realtà che rischia di divenire più forte, in me, di quello che sono e vivo. Come se questo scrivere dominasse il mio esistere, ponendomi sempre davanti ad uno specchio e togliendomi la libertà: cosa che non posso assolutamente permettere.

Poi un amico mi ha scritto facendomi notare che nel nuovo portale di Città Nuova compare anche la data dell’ultimo post… ed io sto un poco arretrato!
Intanto: complimenti veri a tutti i “colleghi” per la nuova veste e la nuova organizzazione del sito.
Ma ciò che mi dà una sonora botta in testa, e mi riporta “davanti allo specchio”, è vedere la mia foto lì sul portale, sempre in bella mostra! Una cosa terribile e bella al contempo: dire che “ci metto la faccia” è sempre più una compromettente realtà.
Avevo iniziato a scrivere con una frequenza maggiore, che si è man mano diradata. La vita cambia, i tempi e gli eventi e il vivere interiore non sono mai eguali.
Però ho l’impressione, oggi, che questo mio scrivere debba divenire sempre più amore, solo amore. Se penso a voi che siete a leggere queste “storie da una vita qualunque”, ho la piena responsabilità di farvi sapere che ogni vita merita di essere vissuta, e pure raccontata, perché ogni vita è un pezzetto di Eterno qui in terra, ogni vita compone un piccolo tassello del grandioso puzzle che si chiama Storia.

Sto terminando la lettura di un libro che da alcuni giorni mi avvince, la storia di una donna (quasi) qualunque, Elena Hoehn Alvino. Una donna che ha vissuto cento anni da protagonista. E certo ognuno di noi può essere protagonista, non facendosi passare la vita addosso, ma inoltrandosi attimo dopo attimo nel proprio disegno, in ciò che la vita ti destina seppur incomprensibile e forse indesiderabile.
Ovvero: entrare nel filo d’oro che tutto lega e compone, se riesci ad andare oltre le apparenze.

Poi magari ti accade di vivere realtà inaugurabili quali l’abbandono e la separazione, e ti si chiede di raccontare al mondo come vivi, e quindi sostanzialmente metterti in piazza, ai quattro venti.
In…separabili: mi ritrovo oggi a rimettere a fuoco tutto. Questi tre banali puntini, che legano e significano, mi divengono programma di vita sempre più coinvolgente.

 (foto mia, Umbria 2006)

venerdì 5 ottobre 2012

Per sempre

30 settembre 2007, anche allora era domenica. Cinque anni son trascorsi da quando, obtorto collo, lasciai la casa ove ero convinto che sarei giunto sino alla fine dei miei giorni. Una casa antica e bella che credo di aver amato più di tutti i suoi (tanti) abitanti prima di me. È così: penetro nelle cose, restaurare un mobile o sverniciare una vecchissima persiana… tutto può essere frutto d’amore.
Anni prima passarono da noi degli amici che vivono a Milano, lui architetto. La loro figlia più piccola, limpida, partendo disse tutta soddisfatta alla mamma “Questa è la casa più bella che ho mai visto!”

Se mi volto indietro non posso non chiedermi: come ho potuto farcela? Giungere qui con l’autunno che premeva, tutto da rifare, c’era solo un letto pieghevole, un vecchio tavolo da esterni con sedie di plastica rosse. Qualche pentola. Pensavo di dover comprare i mobili della cucina, e solo poi mi resi conto che avevo da parte i pensili della casa dei miei, degli anni ’60, in formica. Chissà perché mi aspettavano, come se questo evento fosse già scritto… e comunque oggi il vintage è di moda! Proprio di recente una giovane architetta, impattando con questo mio eremo ha esclamato: “Una casa bohemienne, da artisti!”

Poi pian piano ho affrontato e risolto tanti particolari. Mi son ritrovato con energie inimmaginabili davvero. Anche se oggi per la verità sento la stanchezza sopraffarmi, sempre più spesso. Una stanchezza che viene da lontano, e non è solo quella fisica del faticare da solo e con la prospettiva della solitudine.

Quando penso ai misteri dolorosi del Rosario, quella serie di eventi sanguinosi accaduti nell’arco di poche ore… mi chiedo come abbia potuto, l’uomo Gesù Cristo, arrivare sino alla crocifissione in quel crescendo inenarrabile di stanchezza che si sommava ai dolori di vario genere che gli venivano inflitti. Come non sia rimasto sotto il peso della croce nel salire il Golgota… poi l’apparizione del Cireneo, l’aiuto preciso per giungere sino al momento finale e cruciale, a quel grido che avrebbe cambiato (cambia, cambierà!) la storia, per sempre.

   Senza niuna impazienza sognerò
   Mi piegherò al lavoro
   Che non può mai finire,
   E a poco a poco in cima
   Alle braccia rinate
   Si riapriranno mani soccorrevoli,
   Nelle cavità loro
   Riapparsi gli occhi, ridaranno luce,
   E, d’improvviso intatta
   Sarai risorta, mi farà da guida
   Di nuovo la tua voce,
   Per sempre ti rivedo.
   - Roma, 24 maggio 1959 -

Giuseppe Ungaretti: ancora lui, sempre lui. Mi accompagna dai miei quindici anni, quando una sua raccolta di poesie divenne il mio secondo Vangelo. E forse qui tutto era già scritto: la mia vita compresa in questi due poli, questo generatore di corrente vitale tra Cielo e terra.
In questi giorni continuamente mi rincorrono queste parole, scritte dal poeta dopo la scomparsa della sposa Jeanne. Scomparsa, morte, trapasso: realtà che per un separato sono pane quotidiano, ma ancor più. In fondo quando ti coniughi puoi arrivare a mettere in conto la morte, ma non certo l'abbandono.

E pensare che al momento di sposarmi avevo vicino un caro amico che aveva subito un incidente dieci anni prima, e da allora vive in carrozzella. Sposandomi mi resi conto che la creatura che avevo accanto, a cui stavo promettendo tutto me stesso, poteva il giorno dopo subire un incidente e rimanere tutta la vita immobilizzata. Cosa avrei fatto? Ho detto il mio sì incosciente anche con questa prospettiva davanti. In fondo “l’amore è forte come la morte”, no? Poi di tutto è accaduto, amore e non. La nostra vita non è stata una passeggiata, forse non lo è mai.
A un certo momento mi son ricordato di quel mio sì, per sempre: carrozzella, tumore, morte. E l'abbandono, inaspettato. Come puoi viverlo “amore”?
La sola possibile risposta, ogni giorno di più, è in quell'Abbandono sul Golgota: altre non ne trovo.

(foto mia, Umbria 2006)

mercoledì 12 settembre 2012

Riciclare la monnezza?

Ero in terrazzo, stava imbrunendo rapidamente. Ho sentito freddo, molto freddo. Brividi potenti. Stavo febbricitante, anche, di una febbre antica che ogni tanto ricompare. Come se in certi momenti ci fosse necessità di maggior combustibile! Per decenni ho lottato, ho urlato, quando il male era più frequente. Ora pare andare meglio, grazie ad un medicinale classificato “tossico”. Insomma, curo una cosa e forse ne rovino altre. Vediamo dai prossimi esami clinici come fare in futuro.

Tra l'altro, proprio in questi giorni, con l’autunno oramai incipiente, e coi profumi attorno che volgono decisamente al fresco, mi chiedevo, ancora, del senso del vivere. Il tempo accelerato: vedo che tanti vivono questa sensazione con ansia profonda. Che non è certo sbagliato: il tempo non torna indietro, ogni attimo è assolutamente importante. Potrebbe tutto terminare a breve: e quindi?
In questi anni in cui mi pare che tutto sia accaduto, ho vissuto anche l’angoscia del tempo che fugge, ne ho già scritto. Ma poi ogni ansia si è sedata nel presente, nella vita nuova che nasce di continuo se cerchi, e magari un poco ti riesce, di vivere in altra dimensione. Vorrei dire quella dello Spirito, ove tutto si ferma e si moltiplica, si perde e si ritrova: non più Paolo, ma ben altro…

Ho la “fortuna” grande di avere molti amici, sparsi sul globo (anzi, forse più amiche, a questo punto). Con loro telefonate fugaci a volte, di aggiornamento del nostro cammino. Come in una famiglia vera, ci si vuole bene col cuore. E a volte mi danno qualche spunto per riflettere e scrivere. Mi si racconta di una persona che cita la “monnezza” (scusate, ma in romanesco rende molto meglio! In italiano è: immondizia): la monnezza riciclata, questo è il futuro! Più monnezza si ricicla, più energia pulita si produce: fenomenale! Io ho già cominciato. Come non pensare al grande De Andrè, col suo letame che fa nascere i fiori, al posto dei freddi e mortiferi diamanti? De Andrè, un uomo che in questi anni sto riscoprendo nella sua limpida umanità. Uno che è entrato nel cuore dell’uomo e ne ha posto in luce la parte che non muore. Un grande.
Poi forse manca il “come” rendere il letame fonte di vita. Una formula universale, valida per tutti gli esseri umani. Beh, la pietra filosofale esiste, la soluzione totale è qui: la monnezza riciclata, l’energia pulita! Se dal dolore nasce amore, se (+dolore = +amore), se incanalo la mia monnezza, il mio letame, le mie tante lacrime nel circuito virtuoso che diviene amore…
Già, mi si obbietta, ma chi te lo fa fare? Sei davvero matto a reagire in positivo quando ricevi un torto piuttosto che renderlo moltiplicato! E la giustizia allora?

Beh, “confesso che ho vissuto”, fatemelo dire con Pablo Neruda, stavolta ci vuole. Ho vissuto questo per tanti anni: non porta da nessuna parte, ti aumenta la tristezza, ti uccide dentro. L'inferno: stai male, sempre peggio. Perché la svolta vera alla fine è farsi del bene, amarsi, solo poi viene l’amare l’altro. E in questo modo fai bene a te stesso e al mondo. Geniale, no?

Circa 25 anni fa un amico carissimo aprì con altri soci un pub nel centro di Roma. Si chiamava: Hell and heaven. Inferno e paradiso. Si entrava al piano strada, e c’erano bei locali luminosi, ariosi, con pareti credo celesti: il paradiso. E con pochi avventori. Stavano tutti al piano sotto: nell’inferno. Pareti dipinte di nero (davvero, eh!) con poche candele accese. Buio pesto, sensazione opprimente. L’occhio faceva fatica ad abituarsi a quel buio, poi qualcosa si vedeva.
Questo amico dice di sé: “Sempre al massimo, nel bene e nel male!”. Ed è vero. Come aver cercato Dio agli ultimi confini della terra, nel buio esistenziale, nella mancanza della Luce. Come l’uomo di oggi, in pieno. A volte c’è stato molto vicino, mi sembra, ma ancora non pare aver trovato la pietra filosofale, il convertitore dei rifiuti. So che produrrà grande energia, prima o poi.

I miei amici! Persone che vivono magari borderline, alcuni proprio sul filo del rasoio, altri come me che stanno lavorando alla cerniera tra il cuore dell’uomo e quello di Dio. Tra dolore e Amore. Tra terra e Cielo, inferno e paradiso.
Mi rendo conto che questa cerniera è la cosa più rilevante in assoluto che potrei lasciare ai miei figli. La "soluzione" al dolore: esiste eredità più importante?
Non so se ci sono riuscito, sinora. Ma spero di vivere ancora un po’...

(foto mia, Abruzzo 2006)

venerdì 3 agosto 2012

Della morte e della vita...

Manco da questo mio scrivere da molto più del mese che è passato dall’ultimo post. Mi appare un tempo infinito. L’estate è giunta col peso insopportabile della solitudine, col sogno, e bisogno, di novità - che non giungono.
Anche questo narrare della mia vita mi era divenuto stringente. Una cosa per me importante davvero, e poi il rispetto e l'affetto per i tanti che mi leggono, ma che non può e non deve limitare la libertà. Fatica a concentrarmi e puntualizzare e narrare: alla fine ho dovuto, e pure voluto, perdere tutto. Azzerare, fare silenzio.

Non avevo programmato ferie, e invece una circostanza mi ha ispirato a cambiare programmi e partire, solo, ovviamente. Una settimana di “vacanza” tra i miei monti d’Abruzzo. Prima di partire mi si era raccomandato il riposo, fondamentale. Ma per uno sposato, stare soli è il contrario del riposo. Manca il paradiso del rapporto col coniuge. Un divorziato poi! Spiegavo che andavo soprattutto a fare lavoretti, le manutenzioni e le pulizie che necessitano in una casa poco abitata. Mio padre è partito da venti anni, e si vede in tutte le cose.
Ho passato giornate incredibili. Tanti contrattempi e imprevisti che significano perdite di tempo. Il cancello che non si voleva più aprire, una lampada apparentemente morta, altre cosette di questo genere, ragnatele da pulire. Ma son stato bene seppur solo, la cosa che certo più mi pesa in questo scorcio di vita. Specie il viaggiare in solitudine: opprimente. E io starei sempre in giro, mi piace guidare, vedere, conoscere.
Alla fine debbo constatare, ma già lo sapevo, il potere dell’equilibrio interiore, a volte raro e difficile, che nasce dal sapere che fai le cose giuste, seppur nei tanti tuoi limiti. Senza montarti la testa, ma nella semplice serenità del momento presente.
Il risultato è che ho lavorato senza mai fermarmi, e mi son pure riposato, uno stacco reale: rientrato al lavoro non ricordavo la mia password di accesso al sistema!

Domenica mattina presto, vado al cimitero a salutare i miei che lì riposano. Non ho programmi, pieno relax, giro a curiosare tra le tombe. Nella mia gioventù, tanti secoli fa, mi accadeva ogni tanto di fare visita al cimitero di Roma, il grande Verano, specie nella parte monumentale, il Pincetto. Tombe di nobili, di grandi della terra, tanto marmo, busti, epigrafi. Quel che furono. In quel silenzioso turbinio di cose andate, morte, dimenticate, mi accadeva di ritrovare, rinsaldare, il rapporto col mio Dio. Perché toccavo con mano la fatuità del tutto. Mi ritrovavo nel tempo eterno, quello che solo conta, lontano dai rumori della Roma agitata e quotidiana.

Giro per questo piccolo cimitero di paese di montagna, non è il Pincetto, anzi. Questi volti che mi scrutano dalle foto non parlano di grandi gioie terrene. Dicono drammi, solitudine, desolazione. Leggo soprattutto dolore silenzioso, ignoto al mondo, perso per sempre.
Solo mio padre pare cantare, dalla sua foto. La feci mentre da nonno rideva agli scherzetti dispettosi che gli faceva la mia piccola. E davvero, non mi risulta abbia poi riso molto in vita. Ma lo abbiamo ricordato così. Questo il suo essere soprannaturale, forse.

Rientrato dalle ferie, al mattino presto, incontro gente trafelata che corre al lavoro. Mi rendo conto che ognuno sta col proprio fardello, chi ben visibile, chi oscuro. Mi sorge il ricordo di un esercizio della mente, e dello spirito, che facevo da bambino: alzarsi in alto, guardare il mondo, e le corse affannose degli umani, da lissù. Si riequilibra tutto, ogni cosa prende il suo giusto posto, e peso. Il dolore che tutti accomuna, la fatica del vivere. Le gioie anche. Tutti sotto lo stesso cielo, come piccole formiche attivissime nel proprio piccolo mondo, ma ignare di quanto accade poco oltre. Solo alzandosi, sempre più alzandosi, si può cogliere il filo d’oro che lega le esistenze, le piccole e grandi storie personali e quotidiane.
Poi nel cielo scorgo un aereo, altissimo, nel blu di una mattinata estiva tersa e non ancora bollente, quasi una conferma. Questo affannarsi continuo, correre. Ma per dove, per cosa?

La giusta risposta è in una telefonata di qualche giorno prima. Una cara amica mi narra di quanto le diceva un anziano e molto sapiente uomo di Dio: “Ma ti rendi conto che tu, nonostante tutto, continui ad amare?”

(foto mia, estate 2012)

mercoledì 4 luglio 2012

Dieci ragazze per me!

“Ho visto un uomo che moriva per amore. Ne ho visto un altro che più lacrime non ha…”
Cantava Lucio Battisti forse quaranta anni fa, mi trovo a cantare io ripartendo da un distributore di benzina in un tardo pomeriggio di caldo africano.

Ho avuto un incontro praticamente shockante, quell’incontro che sogni ma poi temi. Incontri la tua sposa che ti chiama, sorride, e tu hai un colpo al cuore. Pochi istanti, belli, si parla dei figli, e poi si prosegue, ciascuno per la sua vita. Lei torna da un pomeriggio di donazione, io sto andando a fare qualcosa, quel che posso: la figlia ammalata, il nipotino, il genero.

E mi chiedo, e chiedo al Cielo, perché farmela incontrare, di nuovo. Morirò infartuato, lo so. Forse dovrei non vederla più, mai più. Il mio povero cuore sfibrato, che prima o poi implode...
A forza di "morire a me stesso", da anni, credevo davvero di essere "morto", e invece mi scopro sempre più vivo, con tutti i sensi allertati. Forse sono semplicemente normale (è questa alfine la bellezza?)
Ma intanto il cuore sta sotto pressione.
“Dieci ragazze per me posson bastare” cantava Battisti, “voglio dimenticare!”: la filosofia del chiodo scaccia chiodo, come dicevo nell’ultimo post. Ma lo stesso Battisti poi ammette: “ma io muoio per te”!.

Sere fa, avevo ospiti a cena. Mi son trovato quasi contestato nel mio parlare di dolore. Come se dovessi bypassarlo, risolverlo voltando pagina. Come se il dolore fosse argomento tabù, da evitare di parlarne addirittura. Come fan tutti, come pare norma oramai.
Rivendico invece il valore del dolore. Questo mio dolore che nel tempo mi ha costretto, quasi, a ritrovarmi, a trovarmi, a crescere, a scoprirmi uomo umano, vero. Che mai fa piacere, ma sempre può trasformarsi in amore, direttamente proporzionale, anzi forse esponenziale.
Ecco: non esiste alternativa, bisogna evidentemente andare sino in fondo, ognuno nella propria storia. Storia di dolore e amore insieme, sempre.

Mi giungono email dopo l’ultimo post:
“Stremata. Esattamente la condizione in cui mi sento ora dopo che lui ha cambiato ancora i turni e mi ha detto che non sa che farci per i miei impegni.”
“Caro Paolo, con le tue parole arrivi a toccare le parti più profonde del mio cuore... sembra che quello che scrivi sia fatto su misura per me... Sono anche io stremata, perché mi sto avviando a vivere da separata... pregheremo tanto per il nostro papy, che sta annaspando in acque tempestose senza orientamento alcuno.”


Voglio dedicare questo scrivere alla mia sposa, in primis, ma anche ai tanti e soprattutto tantissime che vivono col cuore squarciato, forse sperando il “voglio dimenticare”, che hanno continuamente la sensazione di non farcela più, e magari la lusinga delle “dieci ragazze per me”.
A tutte le creature che nel silenzio e nel sangue, giorno dopo giorno, ma soprattutto notte dopo notte, con la loro vita, dicono, ancora, ogni volta, che Dio è possibile, è più, è oltre. Che Dio alfine è proprio il contrario di quanto si credeva, e forse ci hanno persino insegnato.
Il Dio di questa epoca è il nostro Dio: quello crocifisso, abbandonato, morto. E poi disceso agli inferi, per tre giorni e tre notti. E infine risorto. Risorto!
E chi più di noi?

(Foto mia, giugno 2012)

mercoledì 13 giugno 2012

La Madonna del Bagno

Al mio post “Dopo aver stra-amato? Si ama ancora!” giunge il commento di Anna, con la sua consueta e pungente lucidità: “A volte stra-amare strema. E allora si sta sulla nuda terra, e si cerca di dissolversi in humus fertile per altre piante, i figli, gli amici. Oppure, e questo vale per gli stremati più casalinghi, forse meno forti, allineati ai granelli di polvere sul parquet, con i quali ci si sente affini, si sta ad attendere uno straccio che raccolga e ricomponga in una qualche forma, fosse anche un ciuffo peluccoso.”

Stremati. Più che vero. Come può un separato non conoscere lo stremo? Nella totalità dell’essere, che significa tutto, anima e corpo. Poi a volte può bastare un tramonto, un sorriso, uno stato d’animo, un’amicizia vera, una carezza del Cielo ad alleviare lo stremo. Penso a chi da anni e anni vive in questa situazione. A chi non ha più lacrime da versare. A volte si giunge al “chiodo scaccia chiodo”, ovvero al rimpiazzo, visto che il muro del coniuge tiene e appare inscalfibile… chi può dire, sapere, giudicare? Il lavorio del Nemico è continuo, tenace, preciso al millimetro. Può apparire vincente, ma il tempo credo lavori per Dio. E a noi si sta chiedendo l’amore più grande, il permettere tutto, anche l’altrui inferno.

Conosco bene lo “stremato”. Specie in certi inizi estate, come quest’anno. Mi trovo in crisi persino con la progettualità. Al lavoro mi hanno chiesto il piano ferie! Son caduto dalle nuvole… e chi pensava che già era ora di programmare un minimo di svago, riposo? Ma dove, come, e soprattutto: con chi? Il solo riposo sarebbe con e nella “carne della mia carne”, finalmente, dopo anni e anni e anni e anni...

Mi sono incontrato, fugacemente, il tempo di una rapida visita, con i miei testimoni di nozze, in un santuario qui in Umbria famoso e un pò particolare. La Madonna del Bagno, costellato di ex voto a volte bellissimi che sono ognuno un pezzo d’arte: ceramiche che raccontano e sintetizzano il “miracolo”.
Qui, correva l’anno 1657, avvenne che un uomo, raccogliendo da terra un frammento di ceramica raffigurante la Madonna col bambino in braccio e ponendolo in alto, incastonato in un alberello, quasi a crearne un altare per venerazione, chiese a Maria la grazia della guarigione della moglie.
Accadde che poi tornando a casa trovò la moglie guarita. Guarita!?

Questo in estrema sintesi. Sono andato a verificare sul web. Ho trovato, tra l’altro, una prece di qualche tempo fa, evidentemente di una figlia, che pare precisa per il “nostro” mondo: “Gesù fa che la mamma e il papà si rimettano insieme”. Valentina F.

Conoscevo già la storia del santuario, ma mi son trovato in questa circostanza a sentirla ancor più mia.
Qui, con i miei testimoni di nozze. E poi, lasciandoli che proseguivano per Roma, al vedere le mani che salutavano dai finestrini, mi è esploso il pianto: il cuore funziona… il mio, quello di altri! È vero, sto stremato, a Roma si dice “stare fuori come un balcone”. Così è. Ma come potrebbe altrimenti?

Mi scrive un amico, anch’egli separato: “Sono appena rientrato a casa, reduce da una pizza con i miei figli; da qualche anno usiamo trovarci insieme in occasione dell'anniversario di matrimonio ed è stata una bella serata, uno di quei momenti in cui ti viene da dire: sono così contento che adesso potrei anche morire”.

Certo, nel nostro piccolo, ma questo è: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine: prendete e mangiate, questo è il mio corpo”.

Foto mia, dal Santuario della Madonna del Bagno, Casalina di Deruta, Perugia, Italy

giovedì 24 maggio 2012

Incommensurabili

Scusate il ritardo. Da giorni vorrei pubblicare ma poi non riesco.
Sono reduce da un’esperienza importante, un poco anomala e proprio bellissima.
Ho trascorso un week end, quarantotto ore piene, con amici di antica data, in un bel casale di montagna qui in Umbria. Persone che non vedevo magari da anni, alcune che tra loro non si conoscevano. Altre che si son ritrovate con indicibile gioia. Chi arrivava, chi partiva. Un “convenire” al buio: nessuno sapeva chi avrebbe trovato.

Sono accadute cose che hanno superato le più belle aspettative che potevo pur avere. Il tempo è parso fermarsi e dilatarsi, ne ho completamente smarrita la cognizione. Non il fare, ma l’essere, finalmente.
Qualcosa di incredibile, di nuovo e di antico è accaduto. Il Cielo. Abbiamo toccato, ancora, che l’Amore è. È possibile, è vero. Due o più.
Realtà che conoscevamo già. Ma questi momenti di convergenza sono cosa buona e forse pure necessaria, di questi tempi.
Nulla abbiamo fatto di particolare, anzi il maggior tempo trascorso in cucina, intorno al nostro grande Massimo, cuoco provetto.
Proprio nei giorni precedenti con un’amica si parlava del paradiso, e lei mi faceva presente che un conto è sentirne parlare, altro viverlo personalmente, il paradiso…

Poi, giunti al termine e partito per ultimo, mentre lentamente, sotto la pioggia, scendevo dal nostro piccolo “Tabor”, e non ne avevo proprio voglia, mi rendevo conto che nulla sarebbe stato più come prima, nulla. Una pietra miliare nel cuore.
Son rientrato all’eremo che non mi reggevo in piedi dalla stanchezza. Ma anche, dal vedere e vivere tutto con nuovi occhi, come rientrato da altri mondi…

Thomas Stearns Eliot pare averlo scritto per me, oggi:
Noi non smetteremo di esplorare.
E la fine di tutto il nostro esplorare sarà arrivare là dove siamo partiti.
E scoprire quel luogo per la prima volta.


Poi per giorni ho quasi faticato a tornare al vortice della vita “normale”.

Ho incontrato una vecchia conoscente. Lei sa che mia moglie ha divorziato, che sono solo. Mi scruta attentamente, dice che mi trova bene, mi vede tutto arzillo, e chiede se sto con qualcuna. Dico no, sono sposato, per cui solo come sa. La vedo incredula, ma posso solo confermare. Certo che mi trova bene, ma non è la presenza di un’altra donna.

Un’amica, anche lei abbandonata, mi scrive: “Sto vivendo veramente un incubo perché mio marito me le fa vedere di tutti i colori” e poi: “…la cosa tristissima è il vedere tutte le famiglie unite mentre noi da soli senza papy” e ancora: “sto rileggendo le pubblicazioni sul tuo blog: mi fai compagnia spesso!”.

È che la vita non è mai uguale, e ti pare di vivere in un vortice molto oltre le tue possibilità.
Il Tabor svanisce, e altro accade.
Momenti di stanchezza grande, forse anche questa primavera strana, piove di continuo. E poi la solitudine, migliaia di notti da solo, e sai che “la morte è già qui, poco prima”, come dice il poeta.

E invece continui a credere, a dire, a fare, a dare, a pensare, a volere.
Il cuore del tuo cuore altrove, il tuo corpo dilaniato, tutti sparsi per il mondo.
Essere nulla, e nulla sapere più. E tutto sogni, speri, credi, copri, ami. La carità?
Ma è follia, ti dicono! La norma, la norma è altro: la tua sposa se ne va? Meglio: sai quante donne puoi trovare, ancora, prima che la vita svanisca? Piuttosto: spicciati!

Il sole sta tramontando, ancora una volta, in cielo una luce incredibile, e sei solo.
Un profumo indicibile nell’aria, l’estate che quasi esplode, e sei solo.
Fai due somme: abissi e gioie incommensurabili. Chi sei Padre? Chi sono io per tutto questo?
Ti rendi conto di essere davvero “out”, fuori norma. Ma deve essere la fede. Sì, la fede. Fede in un Dio che sai e a volte non tocchi, specie in certi momenti in cui il cuore abbaia alla luna, il sangue si confonde con quello dell’umanità, il dolore non sai più come dirlo. Solamente il silenzio perdura.

Fai un’altra telefonata, nasce dall’amore, gesto piccolo e forse insignificante. Cuci, unisci altrui vite, rammendi lontane storie. È il cuore di Dio, alfine, che permea la terra attraverso te, le tue vene dissanguate che facilitano un rapido benefico passaggio. Sei canale.
Beh, mica poco, se ci rifletti bene.

(Foto mia, Umbria, maggio 2012)

mercoledì 25 aprile 2012

Agli ultimi confini della terra

Giornata molto particolare, tutto si evolve in pochissimo tempo.

Mi trovo a leggere una nota di forte dolore e nostalgia grande negli occhi, nel profondo di persona molto cara. So che devo vivere il silenzio assoluto, dopo tanto parlare, e pure sproloquiare, a volte.
Torno a casa che sta imbrunendo, il cuore silente e sereno. Solo il presente, comunque sia.

Nel frattempo mi è giunto sms di una cara amica lontana, finalmente riesco a leggere: “Oggi sento forte la mancanza del mio sposo… da quando ne parlo con te, è come se fosse rinato il desiderio che lui torni. Non è un bene perché ho faticato a rassegnarmi x trovare pace. Ma mi chiedo se ha un senso oltre…”

Beh, non posso non telefonarle subito. Sta cenando, insieme ai bambini. Ma le dico quel che sto vivendo, il mio cuore. Oramai vivo nudo, poche cose sono mie solamente, condivido, faccio circolare. Tutto contribuisce se è amore. Sangue che circola in questo grande corpo martoriato che è questa piccola comunità di abbandonati.
Poco dopo altro sms: “Grazie della telefonata! Mi hai aiutato a staccarmi dal pensiero che mi stava trascinando a fondo! :-)”
Nel frattempo mi giungono due mail che mi danno gioia, mi telefona un'altra amica che, dopo cenato, sta camminando nella Roma notturna. Come non piangere?
Mi chiedo, ancora, chi sono io per trovarmi al crocevia del tanto amore che sta circolando.

Tantissimi anni fa, era questa stagione, stavo vivendo col cuore liquefatto. Innamorato, perso in colei che sarebbe poi stata la mia sposa, per sempre. Reciproco, bellissimo, lei pure completamente rapita. Eravamo una bella coppia, ci dicevano, e sentivamo stima e affetto vero da tanti attorno.

Negli anni è accaduto di tutto, e di impensabile. Le forze degli inferi si sono scatenate.
Una famiglia bella e sotto pressione estrema. Abbiamo vacillato, non è stato facile. Maria è stata comunque presente sempre, in piedi sul nostro Golgota. Protesa al Cielo, penso abbia pianto, in silenzio. Ma lì è rimasta, per anni.

Nel frattempo, credo ad una seduta di terapia di coppia, mi venne chiesto perché avevo scelto lei, cosa mi aveva fatto innamorare. Credo di aver farfugliato, non sapevo, avevo perso la ragioni del mio amore.
Oggi so, posso gridare ai venti: ho sposato colei che mi mancava, la parte più bella di me, la mia realizzazione, il mio dover essere. In lei sola posso cantare, e sono.

Poi qualcosa è avvenuto che ha definitivamente squassato tutto. Le mie prime notti in solitudine. Con fatica e dolore, ma alla fine vincente, notte dopo notte e tra le lacrime, ho ricostruito dentro di me il “Credo”. In quel momento era l’atto di fede più grande, dire: "Credo, credo in Dio fatto uomo, abbandonato, disceso agli inferi, risorto".

Mi è parso, mi pare sempre più, di essere stato agli “ultimi confini della terra”. Sono stato in buona compagnia, insieme a tanti.
Qualcuno doveva andare. Siamo andati.

Oggi, anche questo modesto scrivere è rendere testimonianza alla Luce.
E non so più del dolore passato, la vita è molto oltre.

(foto mia, Umbria, 27 dicembre 2011)

sabato 21 aprile 2012

E dopo aver stra-amato?

A volte accade di sentirsi commossi nel profondo, più del solito, addirittura.
A volte accadono fatti che ti sovrastano.
A volte diviene certezza quella che credevi sensazione, che Dio sta nei tuoi pressi, abita qui con te.
A volte la realtà supera la fantasia pur eccellente che sai di avere.
A volte Dio è più grande di sé.
A volte piangi, e non sai perché. Ovvero: lo sai bene, ma temi di rovinare tutto nel dirlo. Troppo grande.
A volte piangere e ridere si fondono.
A volte potresti morire in quel momento, che il passaggio sarebbe davvero indolore.


Giusto recentemente, nel corso di una lunga telefonata, ribadivo una delle cose più belle che sperimento in questo periodo. Ovvero: vedere le cose con gli occhi di Dio, vivere col suo cuore, avere i suoi sentimenti. E quindi, innanzitutto: misericordia.
Sarebbe da citare Paolo, ancora una volta: la carità tutto copre, tutto crede, tutto… ama. Tutto ama, non avrà mai fine!

E poi rendersi conto, confrontandoti duramente con chi vede le cose in maniera diversa, che stai proprio e pervicacemente vivendo questa parola: dopo aver stra-amato… si ama ancora. Senza limite quasi. Senza stanchezza. Ogni volta superi il tuo “record” personale. Inimmaginabile. E finalmente: questa la tua vita, oggi.

Un’amica mi racconta della sua Pasquetta, il lunedì di Pasqua, un pomeriggio con tante persone, tante coppie. Una sola erano marito e moglie, le altre tutte in nuove unioni. Lei era sola, e molto triste, con le figlie che stavano col padre, altrove. Tra coloro che organizzavano la giornata, attività, divertimenti, uno brillava in modo particolare, come il più felice. Poi ad un certo punto si son trovati a scambiare due parole, e lui le ha confidato che i suoi week end sono impregnati di grande dolore, vorrebbe non arrivassero mai. Mi ha detto di una quantità immane di dolore che circolava quel giorno di festa in quel gruppo festante.

In una recente lettera scrivevo che nel vivere è importante avere il cuore sereno, ovvero la certezza di fare le cose giuste. Magari col cuore sanguinante, ma questo diviene secondario. Non può esistere felicità se nel fondo sai che stai facendo sbagliato. E questo ogni essere umano può capirlo, specie chi ha fatto esperienza di Dio. Anche se magari tutto passa in secondo piano, immersi in vite altrui per sopravvivere, col cuore magari impietrito. O distratto, o gaudente.

Mi scrive Laura: “E' da un anno che leggo il tuo blog di tanto in tanto. Posso dirti che mi sembri "cresciuto"? Ti percepisco più sereno e più aperto, e ne sono felice. E' un'impressione che corrisponde al tuo vissuto?”

Corrisponde, cara Laura. Mi costringi a fare analisi del mio vivere, e vedo che corrisponde in pieno.
A volte la salita pare dura, ma si continua, si svalica, si respira aria sempre più pura. Il panorama poi… a volte è indicibile, come oggi.

Dopo stra-amato, si ama ancora. Un programma di vita che è un affare. Per sempre.

(foto mia, il melo in fiore, 21 aprile 2012)

martedì 10 aprile 2012

Francesco

Negli anni passati, nei momenti più duri, spesso mi son trovato ad uscire di casa senza meta, alla ricerca di pace, solitudine, aria da respirare.
Più volte la meta è stata il lago Trasimeno con le sue due belle isole praticabili, la Polvese, di cui sono decisamente innamorato, e la Maggiore.
Una domenica, proprio girovagando all’isola Maggiore, sul lato inabitato dell’isola, mi son trovato davanti il luogo ove san Francesco venne sbarcato la notte delle Ceneri del 1211 e poi ripreso al Giovedì Santo. Una quaresima in solitudine e digiuno: in un’isola deserta, con solo due pani da mangiare. I Fioretti (cap. 7) narrano che in quaranta giorni Francesco mangiò solo mezzo pane. Nel mio piccolo, quel giorno me lo sentii molto vicino, chè non avevo con me nulla da mangiare…

Mi torna in mente questo episodio adesso, in un periodo di tanti incontri ravvicinati con Francesco.
Una camminata con tanti amici a Greccio, una visita fuggevole alle Celle di Cortona, una nuova, ennesima visita alla sua tomba, nei sotterranei della Basilica. Ci son stato tante volte, e ci son tornato per accompagnare una coppia di amici romani che erano in tour per festeggiare, anche, il loro trentesimo anniversario di nozze.

Tante visite, ma mai accaduto come quel pomeriggio. Una commozione grande, lì dinanzi alla tomba. Un dialogo profondo, un affidare a lui, pure, tutte le situazioni terribili di famiglie sventrate in cui mi trovo sempre più spesso a penetrare. Proprio vero che nella vita si è quel che si vive dentro. Quando poi usciamo, in quello stato d’animo, vedo con occhi nuovi questa stupenda statua che troneggia dinanzi alla Basilica: Il ritorno di Francesco. Il ritorno del giovine rampante, andato per il mondo a conoscere di tutto…
Recita la targa sottostante: “Signore, che vuoi che io faccia?“ “Ritorna nella tua città e ti sarà detto che cosa devi fare”. Spuntato il mattino Francesco, mutato interiormente, desiderava solo di conformarsi al volere divino.

Quel giovine guerriero che appare affranto e mesto, è un uomo mutato interiormente. Un uomo al cospetto della sua nullità. Cosa vuoi che io faccia?
E torna nella sua città. E si conforma al volere divino.

Nella sua città, tra i suoi: il volere divino.
Un augurio giuntomi per Pasqua: “carissimo Paolo… voglio farti gli auguri per la Pasqua che sento sempre di più la nostra festa: Gesù Crocifisso e Abbandonato e soprattutto Risorto: quello che ci ha amati, e continuerà ad amarci e che non ci tradirà mai, che mi mostra fino a che punto devo amare mio marito.”
Alcune mattine fa ho trovato altra mail delle quattro di notte: “Caro Paolo, come vedi non riesco a dormire... Tanti dubbi su cosa fare, tanti pensieri affollano ogni giorno la mia mente... Prego il Signore perché mi illumini facendomi muovere nella giusta direzione... Ciao, ti auguro una giornata migliore di tutte le altre.”

Il volere divino.
Ho Francesco che non mi lascia, vado a cercare quella mirabile pagina de i Fioretti (cap. 8), otto secoli fa ed attualissima. Un crescendo inarrivabile, e alla fine: “Frate Lione, scrivi che qui è perfetta letizia!”
Perfetta letizia: “Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie, e obbrobri e disagi…”.
E mi rendo conto che le pene usate a paragone son proprio quelle subìte nella propria famiglia, dalle persone più vicine…

(foto mia, Assisi, 29 marzo 2012)

giovedì 22 marzo 2012

La famiglia liquida

Di recente mi è capitato di assistere, in un convegno, ad una esposizione delle varie famiglie “possibili” ai tempi d’oggi: tante che nemmeno immaginavo.

Anni fa, altro convegno. Al mattino presto, sonnecchiando in attesa della sveglia. Penso a belle famiglie che conosco, inattaccabili, solide. E penso alla mia che si è appena sciolta (ovvero: appare sciolta!). E rifletto ad alta voce: “Ah che bello, avere una famiglia solida, altro che la mia… liquida!”

E quando poi ne parlo, mi si chiede se ho letto un certo autore… polacco… non capisco! Poi mi documento: Zygmunt Bauman, sociologo che parla della società liquida. Ma non so chi sia in quel momento. Una ispirazione? Ecco: la famiglia liquida, pareva una cosa brutta, invece mi sa che è bella! In questi tempi così mobili, in cui nulla persiste…

Mi emerge dalla memoria una vecchia storia cha sapevo tanti anni fa.
Una storiella banale, della canna di bambù, che essendo potentemente elastica sopravvive ai forti venti asiatici: se fosse rigida, come il bel noce davanti casa mia, si schianterebbe subito.
Forse è questo oggi il modo di sopravvivere della famiglia, il modo per non spezzarsi sotto i potenti e contrari venti che la attaccano e vogliono annientarla. In tutte le culture la famiglia è il fondamento della società, e forse in occidente è più a rischio che altrove.
Certo, se un tempo esisteva un solo modello familiare, che andava avanti e sopravviveva più per inerzia che per convinzione, oggi le possibilità paiono infinite, e ciascuno si edifica quello che preferisce.

Però io mi chiedo, da credente, quale il mio modello.
Ho ereditato quello di mio padre e mia madre, che molto apprezzo, ma ho sempre pensato non fosse il mio.
Quello che ho vissuto io, in tanti anni? Assolutamente no, ora ci starei molto stretto, ho altro nel cuore.

Oggi so, vedo con altri occhi. Ho imparato che l’unione, qualunque unione, per essere vera presuppone la distinzione. Condicio sine qua non: significa lasciare la libertà, ed essere libero. Due liberi veri che si incontrano e si amano son ben altro paradiso di due che, magari in perfetta buona volontà, vivono nella soggezione o nella dipendenza reciproca.

Penso, sogno, una famiglia nuova, una famiglia in cui tutti siano pienamente sé e pienamente capaci di vivere l’altro, e felici di viverlo. Penso a Giuseppe e Maria e quel bimbetto che diviene adulto con loro due, “in mezzo” a loro due.
Penso a Giuseppe, proprio in questi giorni festeggiato: il padre per eccellenza, uno che davvero ha dato ai suoi la libertà di essere nel disegno di Dio, che si è prodigato per conservare e far crescere le loro vere personalità. Uno di cui si sa quasi nulla, si intuisce. Scomparso, resosi trasparente eppur certo presente, per fare posto a quella meraviglia di sposa, a quel prodigio di figlio. Immagino che, se necessario, sarà anche intervenuto con rigore, nella crescita della creatura. Quel bambino, specie da piccolo, chissà in quanti guai si cacciava, come tutti.
Immagino la tenerezza con cui comunque trattava entrambi, la tenerezza di Dio per mani umane.
Immagino, sogno...

La famiglia di Nazareth: la sola, che un cristiano può sognare.

(foto: dal web)

mercoledì 14 marzo 2012

L'uomo di Cirene

Passo di stupore in stupore, questo è oramai il mio vivere. E mai avrei immaginato, dopo l’infinito deserto.

Sono reduce da un viaggio nel profondo nord. Un week end diverso, immerso nel dolore e nella bellezza. Tante persone che vivono sulla croce del loro matrimonio monco. Anzi, no: il più delle volte vivono sotto la croce del proprio coniuge, che nemmeno si rende conto. Soprattutto donne, giovanissime e anziane, pare che questo tipo di dolore non risparmi nessuno. Un nuovo tipo di famiglia, la famiglia dell’Abbandonato.

Avevo un invito ad andare su, e sentivo molto la responsabilità del preparare bene una testimonianza di vita. Contavo di lavorare in treno, ove di solito trovo una buona concentrazione. Invece una serie di contrattempi (culminati col treno rotto!) mi ha scombinato i programmi.

Certo, parlare della mia vita non mi è affatto difficile. Potrei parlarne per giorni interi. Ma occorre distillare, solo quello che è giusto e strettamente necessario. Far passare la vita che nasce dallo Spirito, l’essenziale. Il resto è vanità.
Mentre viaggiavo, rendendomi conto degli inciampi… mi dicevo che sicuramente sarebbe tutto andato bene. Con la mia ansia stavo pagando in anticipo, in qualche maniera.

Davanti a me quasi tutti sconosciuti. Un tuffo nell’ignoto. E il risultato, mi dicono, positivo.
Tra l’altro, una cosa che mai avevo detto, parlo dell’uomo di Cirene, come sia importante, in momenti drammatici dell’esistenza, avere qualcuno che in qualche modo ti è vicino, sale con te il Golgota.
Negli anni terribili, in cui persino dormire pareva un sogno, ho avuto un grande uomo di Cirene accanto a me. Telefonate notturne anche di ore. Lui a volte dormiva, lo sentivo sparire ogni tanto. Ma mai diceva: “Beh, si è fatto tardi, andiamo a dormire!”. Mai.
Vorrei oggi dirgli un grazie grande, pur senza nominarlo: lui sa, è schivo, un cuore grande, preferisce l’anonimato. Vive il Vangelo. E non è da tutti.

Grande sintonia con tanti, la famiglia viva e vera. Bello e indicibile. Ognuno con storie molto diverse, col dolore infinito come filo conduttore. Mi rendo conto che la separazione, da abbandonati, è forse il dolore più grande, ammesso sia possibile classificare, subito dopo la perdita di Dio. Trovo persone abbandonate da trentuno anni... Una vita spesa nella fede, nel sangue, nel martirio. Tanta serenità. Penso al cuore di Maria sempre nei pressi. Dio è vero, non esiste altra spiegazione. E perché altrimenti restare dentro un matrimonio in questo modo?
Si termina con una storia impossibile, una storia d’amore che solo il Cielo può partorire. Piango, abbraccio lei, sino a poco prima sconosciuta. Lacrime che si confondono e si fondono. La storia passa di qui.

Dal giorno dopo… un viavai di lettere. Ho nuovi fratelli e sorelle, lassù nel nord.
Una giovane sposa mi manda una foto con i fratelli e scrive: “Loro sono stati il mio cireneo.....ogni momento che passa mi torna in mente qualche passaggio dell'incontro, o della tua esperienza come di altre...
E mi rendo conto che è stato come stare sul Tabor....respirare un po' di Paradiso (assurdo, vero, considerata la quantità di sofferenza concentrata in quella sala...)
Ma davvero Gesù Abbandonato è reale: più lo si ama, più si sperimenta la pace...”


E chi poteva immaginare tutto questo sangue e questo amore, da fidanzati?
Questa la vita, inaspettata e bella, superiore al più roseo sognare di gioventù.

(foto mia, Abruzzo 2006)

domenica 4 marzo 2012

Lasciarsi amare

Anni fa, ero da tre mesi nel mio eremo, mancava poco a Natale. Al piano sopra mi svegliavo al mattino con temperature anche di 4°, e scesi a dormire al piano inferiore. Una notte accadde di svegliarmi con una sensazione strana. Tutto roteava vorticosamente, una cosa mai accaduta e che non si è più ripetuta. Vertigini paurose, tanto da non poter nemmeno fare un numero di telefono per chiedere aiuto. O alzarsi dal letto. Potevo urlare, ma a chi? Da profano, da altri sintomi anche, mi venne da pensare ad una emorragia cerebrale. Non potendo fare nulla, come ultimo atto misi la mia vita nelle mani di Maria, mi addormentai. Poi, diverse ore dopo riuscii a telefonare, venne un amico da Perugia a prelevarmi e portarmi al Pronto Soccorso. Ricovero immediato, sembrava un ictus. Poi, dopo diversi accertamenti, si diagnosticò molto meno grave.
Venni a sapere che la mia sposa voleva venirmi a trovare in ospedale. La mia reazione fu di chiusura immediata, arrabbiato come stavo a quei tempi.
Un amico, il solito sapiente Mario, mi fece capire che “bisogna lasciarsi amare”, anche: è amore pure questo. Beh, fu un passo spirituale. Il cuore, che nel rifiuto avrebbe rischiato di indurirsi, così si scioglieva. Lasciai che accadesse. Let it be. Una cosa buona: era amore reciproco che circolava.
Solo poi mi resi conto di quanto scrive Paolo ai Romani: “Siamo passati dalla morte alla vita perché abbiamo amato i fratelli”. Ma che bello! Ci stavo dentro, e non mi ero accorto. La morte è anche quando covi rancore dentro, che sai sbagliato, ma non riesci a gestire.
Eppoi, “lasciarsi amare” significa che, amando, anche l’altro passa dalla morte alla vita!

Ci ripenso in questi giorni, lasciarsi amare.
La mia macchina è morta e per una serie di vicissitudini ancora non l’ho sostituita.
Intorno a me quasi tutti danno un parere, chi dice bianco e chi dice nero. Tutte opinioni finalizzate al mio bene, evidente. Ma ad un certo punto mi son sentito quasi esautorato, commissariato. Forse prematuro, ho appena cinquantotto anni!
Ma poi alfine ci rido sopra. Ancora un passo avanti da compiere, mai si finisce. Lasciarsi amare, anche in questo caso, e la soluzione giusta verrà fuori con una serie di approssimazioni successive, come sempre.

(foto mia, Svizzera 2005)

sabato 11 febbraio 2012

La luce e la neve

Venerdì sera era tutto bianco. Aveva nevicato tutto il pomeriggio, lieve ma inesorabile. Una sensazione bella, avvolgente, le rare volte in cui vivo nella neve, e ne percepisco solo alcuni aspetti, positivi. Sono nella solitudine solita, la neve aumenterà i disagi. Ma è venerdì, mi aspetta un week end che sarà particolare. Anche la rete web è inaccessibile da giorni, isolato completo.

Il mattino dopo un grande silenzio, diverso del solito. Ovattato, da neve. Dormicchio nel letto, squilla il telefono. Non immagino nemmeno che ora sia. Incredibile, è la persona cui stavo pensando: proprio lei, la mia sposa! Si parla dei figli e dei problemi connessi alla nevicata. Poi subito dopo, ancora una seconda. Il mio cuore potrebbe non reggere, prima o poi... Il tempo passa, pare consolidare, lavorare contro. Ma poi ogni volta una fede nuova: non capisco come e perché vivo così. Non ne sono capace. Non dipende da me. Eppure è.

Una luce strana in casa, appena apro le finestre. Una luce bella, diversa. È la neve che mi circonda, e mi avvolge. La neve riflette, moltiplica la luce. È una luce fredda, il cielo è coperto, ma è tanta, più del solito. La mia vita?
Sono un fotografo, da sempre vivo la luce come elemento fondamentale dell’esistenza, in bene o in male.
Ad esempio, in casa amo le luci localizzate, ogni angolo ha la sua illuminazione specifica. Tutto deve essere ben in luce, se e quando occorre. Calda o fredda, morbida o dura, dipende dal fine. La luce in funzione dell’uomo, dei suoi bisogni.

Il week end anomalo è giunto, sono solo assoluto, nella neve. Non posso nemmeno vedere le previsioni del tempo, un minimo di aggiornamento.
In questo casi bisognerebbe stare in due, con l’altra metà del tuo cielo, intorno al camino, a dirsi della vita e della morte, del Cielo e degli inferi. Lo dirò a Maria, che certo è qui, comunque. Come nel giorno del divorzio, con me invisibile e tangibile.

Mi abbiglio ed esco con lo zaino in spalla, vado a fare spesa. È anche una scusa per camminare un po’, godermi questo clima irreale. Gente passa coi fuoristrada e mi guarda. Forse appaio strano. Dovrei ridere!? Sto imparando a dare il giusto peso alle cose, a tutto.

Certo, con la neve nasce una percezione diversa delle realtà, e pure del tempo. Tutto pare rallentare, quasi fermarsi.
Dopo pranzo esco di nuovo, salgo verso il bosco, nevica. Bello, ma devo tornare indietro. Troppi cani. Sento la solitudine. Non è bene che l’uomo sia solo. Non è bene, ma sono solo. Ho nostalgia.
Un Ungaretti dirompente, lo plasmo sul mio presente, lo coniugo al plurale:

Bosco Cappuccio
ha un declivio di velluto verde
come una dolce poltrona

Appisolarci là,
soli,
in un caffè remoto...


Questa neve mi conduce poi ad un Benigni bellissimo: “La tigre e la neve”, visto e rivisto più volte. Una storia d’amore grande come solo un artista grande può ingegnare.
Penso all’Artista eterno, a quanto e come lavora nella mia vita, alla luce a alla neve…

(foto mia, 4 febbraio 2012)

martedì 31 gennaio 2012

L'abbraccio caldo e protettivo

Per uno che vive solo, in campagna, l'automobile è importante. Se poi ci passi dentro tanto tempo della tua vita, diviene quasi parte di te. Dopo anni e anni ti ci affezioni, in qualche modo.

Sono stato quasi un settimana senza automobile, guasta, in cura dal meccanico. Infine tornata alla vita. Giorni di un vivere diverso, in cui devi approfittare di passaggi, da persone peraltro generose e senza remore. Ma in cui ti cambia la vita, perdi l’autonomia, la libertà, sei quasi un recluso nell’eremo. La sola urgenza è stata il mio caro yogurt(!), nel frattempo terminato. Per il resto, tra polenta e qualcosa in freezer sempre si mangia. Senza certezze del domani… ma poi: chi ce l’ha davvero le certezze?

Quando alfine sembrava tutto sistemato e superata l’ennesima prova, la mia vecchia amata Golf è giunta all’atto finale. È esploso il collettore di scarico, un boato enorme. Gente si è affacciata alla finestra. E stavo praticamente fermo. Se fosse accaduto in movimento mi sarei trovato senza servofreno né servosterzo e col motore schizzato a seimila giri.
Ci leggo l’ennesima prova della presenza del Cielo nella mia vita, che in qualche modo comunque mi preserva dal peggio.
Poi son stato due giorni in una situazione strana, quasi come pugile suonato. Come svegliarsi di botto in un mondo cambiato: devo riorganizzare la vita, di nuovo, ancora.
Ho faticato un po’ ad aggiornarmi: questa spesa proprio non ci voleva, ma capisco che devo fare un altro, ulteriore passo. Un passo nel nulla, un nuovo atto di fede.

Nei giorni scorsi sul web un articolo che titola:
“Chi dorme da solo dorme peggio (anche se non ne è consapevole)”
beh, come non leggerlo? Poi seguita: “Lo indica uno studio americano. Il rimedio? Il caldo «abbraccio» di un bagno caldo… Le migliori dormite le facciamo quando non ci sentiamo soli, esclusi o isolati dagli altri e se abbiamo al nostro fianco un compagno o una compagna di vita. Quando invece ci sembra di essere esclusi dal contesto sociale la nostra solitudine esistenziale ci segue anche nel sonno che inizia a frammentarsi con frequenti risvegli notturni anche se apparentemente dormiamo lo stesso numero di ore e ci sembra di aver trascorso tutta la notte fra le braccia di Morfeo…
…95 persone sono state prima valutate con test psicologici sui loro livelli di solitudine percepita, depressione, ansia e stress, nonché sulla qualità di sonno soggettiva…
…per sopravvivere l’uomo ha dovuto fare affidamento al cordone di sicurezza della sua comunità. Sentirsi soli fa percepire la mancanza di questo senso di protezione sociale e per contrastare il senso di vulnerabilità che ne deriva attiviamo i nostri sistemi d’allerta che non ci fanno più dormire sonni tranquilli. Accade un po’ la stessa cosa ad esempio nella coppia dove la moglie dorme meglio se il marito non è fuori casa per lavoro o ai bambini che si addormentano subito solo fra le braccia protettive della madre…


Interessante questa ricerca scientifica sul sonno, mi sottolineo qualcosa: caldo abbraccio, solitudine percepita, protezione sociale, braccia protettive…
E penso ai primi tempi da solo, la notte, senza la mia sposa. Dormire solo, un grande trauma. Non ricordo bene (la mente umana è davvero straordinaria nel dimenticare, a volte!) ma credo per un paio d’anni di aver dormito circa tre ore a notte. Da uscirne con la salute mentale rovinata. Anche perché il pensiero si arrovellava sulle negatività, inevitabile.
Poi qualcosa dentro è cambiato, si è evoluto. Senza medicine, senza psicanalisi.
Ho già scritto delle mie notti solitarie.
Ora dormo bene, compatibilmente con l’età che avanza. Un riposare sereno, il cuore sta altrove oramai.

Senza caldo abbraccio, senza protezione sociale, senza braccia protettive… chissà se la mia “solitudine percepita” ha valori anomali?
Davvero: non so come faccio ad essere vivo.
Ma pare proprio non dipenda da me, assolutamente.

(foto mia, Umbria 2009)

venerdì 20 gennaio 2012

La vita è breve, fatti un amante!

Tempo fa, avevo ospiti a cena. Uno dei presenti si guarda attorno, mi fa qualche domanda, poi sbotta: “Ma tu come fai a vivere? La sera non vai al bar, e stai pure senza televisione?!”
Beh, vivo meglio!

Da anni, senza televisione. Iniziai nel ‘94, tagliando i telegiornali che mi erano divenuti insopportabili. Qualcosa mi era sopravvissuto, tra intrattenimento e attualità. E mai la TV era accesa durante pranzo o cena. Abbiamo sempre privilegiato il colloquio, facendo crescere i ragazzi in questo clima. Quando poi si ruppe il televisore, riuscii a non ricomprarlo.
E furono anni in cui i ragazzi, in piena crescita, adoperarono il loro tempo, altrimenti passivo davanti ad un tubo catodico, in attività nuove e coinvolgenti. Chi lesse una settantina di libri in un anno, chi imparò e prese gusto a giocare a carte…

Io nel frattempo mi ero disintossicato del tutto, e da allora vivo benissimo senza il fastidio della TV. Sì, fastidio. Una cosa che ti toglie il tempo, la vita, vuole ridurti alla passività, inculcarti valori al contrario.
Certo, non tutto è così. E poi, in fondo la televisione è neutra di per sé, non è negativa né positiva: dipende da come la usa chi la produce e chi la subisce. Ma io vedo un imbarbarimento progressivo…
Per cui quando poi è nato il web mi ci son trovato in pieno. Sono io che decido cosa come quando e perché leggere, o udire o vedere. Mi son ripreso la mia libertà.

Stare soli non è facile, e certo capisco bene quanto la TV possa essere una compagnia, aiutare anche nella vita. Quando son venuto qui nell'eremo ben due amici volevano regalarmi un televisore! Ma io ho scelto la linea dura, controcorrente (per la verità non ci ho sofferto): niente TV per scelta.
Silenzio e solitudine. Non so se possono essere ricetta valida per chiunque, ovunque e comunque. Per me lo sono stati.

L’altra sera, tra una telefonata, una email e appunti per il blog, sono andato ad approfondire una notizia. Una "grande novità": un sito che propone incontri tra persone sposate! Sinora evidentemente si sapeva solo di siti per far incontrare single.
Ma la cosa interessante è lo slogan, che pare abbia fruttato già dodici milioni di utenti (non viene detto dove, ma credo sia negli USA): “La vita è breve, fatti un amante!”.
Ovvero: dodici milioni di persone sposate che stanno cercando un amante via web.
Persone coniugate, ma che evidentemente si sentono sole, insoddisfatte, scontente. Insomma, c’è un problema, altrimenti perché farsi un amante?

Certo, mai la vita matrimoniale realizza il sogno dei fidanzati.
Pur con sfumature diverse, sempre ci si scontra con la disillusione, la delusione dell’altro (è sempre l'altro!). Si viene sommersi dalla vita di tutti i giorni, muoiono romanticismi, sogni, progettualità, confidenza. Tanto è vero che è nato il detto: “Il matrimonio è la tomba dell’amore”.

In fondo, questo ragionamento me lo sento proporre quasi tutti i giorni: “Rifatti una vita, non vivere di sogno!” E io a spiegare che sono sposato, che sto vivendo appieno il mio matrimonio, seppur certo anomalo e non facile: la reciprocità è fondamentale in una coppia. Sennò che coppia è?

Di recente ho avuto un problema al ginocchio sinistro, molto dolore, impossibilità a piegarlo. Quindi claudicante, grande fatica nel camminare e specie nel fare le ripide scale, qui nel mio eremo. E mi son detto: “Meno male che il destro, che poi sembrava il più fragile, un po’ funziona, sennò!”.

Solo dopo mi son reso conto della verità che stavo scoprendo, stupefatto: questo è il matrimonio. Se uno dei due non funziona, l’altro funziona doppio! E se si fermasse pure il ginocchio destro?

Altro che tomba.
Il matrimonio, quello vero, è la tromba dell’amore.
E a volte la vita va oltre i sogni dei fidanzati, molto oltre…

(foto mia, Notte noir, L'Aquila 2006)

venerdì 13 gennaio 2012

Capodanno

Le feste natalizie terminate rapidamente come non mai, quest'anno.
Un Natale eccezionale davvero. Giornate piene, di stanchezza anche, profonda. Turbinio, viavai, corse continue. Tutto oramai ruota attorno al mio nipotino, un “attira-baci” straordinario.

Dopo tanti momenti belli e intensi, in cui sono stato bene, in donazione grande, nel cuore del Padre mi sembra, son subito cominciati i distacchi. Vengono sempre, pare.
Per prima è partita la mia sposa.
Il giorno dopo è partito mio fratello con la sua famiglia.
Poi ancora mio figlio con la fidanzata.
Una sfilza di dolori. E si è tornati alla vita di tutti i giorni.

Poi la sera dell’ultimo dell’anno con le mie figlie. Son presto tornato a casa, stanco, con le ginocchia doloranti.
Poco dopo, in risposta ad un mio precedente, mi giunge un sms da persona cara: “Un bacio”.
Poi saprò che ha passato il fine anno al mare, in solitudine.

Al mattino del Capodanno, presto, un amico sacerdote mi scrive: “Maria ecco tuo figlio… Giovanni ecco tua madre… e da quel momento egli la prese nella sua casa. Prendiamo in questo 2012 Maria nella casa del nostro cuore e affidiamo al suo amore di mamma quest'anno con tutto ciò che ci succederà. Buon anno!”

Un bell’inizio, mi son detto. Dalla memoria ripesco il ritornello di una canzone: “Maria, vieni a casa mia…”. Poi vado a messa e trovo un sacerdote molto anziano che inizia la sua omelia citando quelle stesse parole dal Vangelo di Giovanni. Oggi è una festa di Maria ma in tutt’altro contesto, non è questo il Vangelo odierno. Un brivido: mi rendo conto che sto sotto attacco concentrico.

In questa chiesa di campagna mi accade qualcosa di molto bello. Negli istanti di silenzio il solo rumore è lo scrosciare dell'acqua del presepe. Le pareti, la luce, mi evocano momenti del mio passato. Ma è soprattutto questa sensazione stamani di serenità infinita, nelle mani del Padre, nel cuore della Madre. A volte pare tornare in cose già vissute, in sensazioni dell'infanzia che danno una silenziosa e profonda felicità. Quasi un tornare a casa, un dejà vu che acquista man mano nitidezza nell'animo.
Sai che il giro del mondo che hai fatto e che ti ha portato lontano è utile perché ti ha dilatato il cuore. Forse si poteva evitare, e soffrire di meno e generare meno dolore. Ma la dietrologia in questi casi diviene una stupida tentazione.
Tempo fa partecipai ad una tavola rotonda. Al termine, una signora dotata di anni e sapienza mi abbracciò dicendo “Sai Paolo, deve proprio essere vero che anche dalle permissioni Dio sa trarre grande bene!”.

È vero, siamo seguaci di un Dio in-credibile alle nostre povere menti.
La permissione, il male, può generare il bene.
Lasciando all'uomo la libertà assoluta del bene e del male, Dio sapeva che poteva avvenire di tutto, come infatti avviene. Raramente accade quel che Dio vuole, e ben più spesso ciò che Dio certo non vorrebbe, ma permette. Un quadro desolante.
Ma è questa l'epoca della tramutazione dell'acqua in vino.
Dare il nome giusto al dolore. E tutto può costruire, ricondurre all'Uno, al Bene supremo.

Mi giunge poi un messaggio di una cara vecchia amica, in questi giorni sola, senza figlia, che perentoria mi chiede quando la invito a cena.
Beh, inizio anno in grande stile davvero…

(foto mia, Umbria 2006)

venerdì 6 gennaio 2012

Il dolore universale


La vigilia di Natale, a cena da mia figlia, eravamo undici. Ho cucinato dalla mattina, e poi portato tutto di corsa da lei: c’è il piccolo (cresce, eh! nove mesi oramai... prima o poi ne parleremo) e tutto si svolge lì da loro, inevitabilmente.

Dopo cena, mentre tutti erano ancora a tavola, lei è andata sul divano per dare il latte col biberon al piccolo, prima della nanna.
E io sono andato sulla poltrona di fronte a godermi lo spettacolo.

Lui beveva, felice in braccio alla mamma, con le sue braccia rilassate, serene, nel vuoto.
Una luce, a quella vista: "...e Suo è il dolore universale e quindi mio".
Quella scena, che in qualche modo mi evocava Michelangelo, La Pietà, pur in situazioni completamente differenti, mi ha illuminato sul sottinteso, che forse nemmeno io avevo colto appieno, del mio ultimo intervento sul blog: "Il nome del dolore".
Questo stare nelle braccia di chi ti ama...

Nel frattempo mi ha scritto Max, dopo aver parlato di lui nel post ultimo:

Io ho sempre paura quando si giunge a fare una "classifica" dei dolori.
Penso i bambini delle favelas che rovistano nell'immondizia non per cercare scarti da riciclare, ma per trovare qualcosa da mangiare .
Oppure a una amica molto robusta che, anni fa, viveva un momento di depressione per il suo stato fisico, nulla in confronto ad altri patimenti. Ma in quel momento, quello era per lei un dolore straziante e insopportabile, anche se insignificante per altri.
Mi chiedo sempre quale sia il punto più basso del dolore, quello che è al limite della sopportazione, che appena ti riesci a mantenere in vita.

Penso che la sola cosa che possa superare il dolore sia la dignità. Conservare la dignità è sapere che quel dolore, qualsiasi esso sia, ti nobilita e ti rende unico. Ecco, credo che oltre le parole e le "prediche" sentite in tanti anni, solo Gesù che muore in croce abbandonato dal Padre abbia dato dignità al dolore.

Mi viene in mente quando sono stato a Lourdes, due anni fa ormai. Difficile spiegare a parole, ma la sensazione, fortissima, è che "quel" mondo non si divide in fortunati (quelli che sono sani e in piedi sulle proprie gambe) e sfortunati (quelli sulle sedie a rotelle o allungati ai lettini, attaccati ai respiratori artificiali). Ma il dolore, la sua dignità, prevale su ogni cosa.
Davanti ad una ragazza, bellissima, con un sorriso dolcissimo, costretta su una sedia a rotelle, ti senti una nullità, non perché ti "vergogni" di essere sano, ma perché avverti che lei è tutto e tu sei niente.

Pensa, quando mia madre mi invita a pranzo la domenica, lei lo fa per offrirmi, oltre ad un pasto completo, un momento di spensieratezza, eppure io rinuncerei all'invito solo perché, da 20 anni, per mettere un giacchino a mio figlio o anche solo per vestirlo, con la sua disabilità psicomotoria, è una lotta che ti lascia senza forze. Mangerei pane e acqua, pur di evitare per una volta di vestirlo. Eppure è un "dolore" insignificante, ma ormai lo tollero sempre meno, perché è così e così sarà sempre. Non ha fine, non ha consolazione.

Sarà l'età che avanza, lo stato fisico non più efficiente come un tempo, ma questa solitudine fisica (e psicologica) la avverto pesantissima in questo ultimo periodo. Forse sto idealizzando, le realtà sono sempre diverse dai nostri sogni (in fin dei conti la mia esperienza matrimoniale dovrebbe dimostrarmi il contrario) ma per tenermi in vita devo poter pensare a qualcosa di positivo, anche se irrealizzabile.
Il guaio è quando comincio a pensare che è irrealizzabile, che mi viene lo scoramento.

Grazie del tuo pensiero e della tua condivisione, Paolo.
Il fatto di restare senza parole dinanzi alle questioni che ti pongo, non lo intendo come leggerezza o disinteresse, anzi, mi sento più compreso di quanto tu possa pensare. ;)
Un abbraccio!
Max


(foto mia - febbraio 2011)